I giudici di Roma: su Giulio Regeni usata brutale violenza dagli 007 di Al Sisi

Sono dieci gli elementi di prova che i Pm considerano decisivi: «Il ricercatore friulano vittima di una vera e propria ragnatela». Prossima udienza il 9 aprile quando sarà ascoltato il papà Claudio

Giulio Regeni fu torturato e ucciso in Egitto nel febbraio del 2016
Giulio Regeni fu torturato e ucciso in Egitto nel febbraio del 2016

Giulio Regeni è stato vittima di una vera e propria “ragnatela” che gli imputati hanno stretto attorno al ricercatore friulano tra il settembre del 2015 e il 25 gennaio del 2016, giorno del suo rapimento.

Una “ragnatela” creata sia attraverso l’acquisizione del passaporto, a sua insaputa, perquisizioni in casa in sua assenza, pedinamenti, fotografie e video, sia attraverso le persone “amiche” che Regeni frequentava e che riferivano, in tempo reale, ai quattro, dei loro incontri con l’italiano.

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È la ricostruzione di quanto avvenuto 8 anni fa al Cairo fornita dalla Procura di Roma nel processo a carico degli 007 egiziani accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso il giovane italiano credendolo una spia inglese.

Su quanto avvenuto in quei drammatici 9 giorni di sequestro arrivano anche le parole della Corte d’Assise, che nell’ordinanza con cui ha respinto le eccezioni avanzate dai difensori non usa mezzi termini.

Gli imputati, scrivono i giudici, hanno messo in atto una «brutale e gratuita violenza fisica» causando a Regeni «sofferenze corporali personali che non possono che avere prodotto, per la loro imponenza, gravissimo dolore e tormento in senso stretto, in un crescendo che ha originato l’evento morte, anche a voler trascurare il dato del patimento psicologico». E ancora: «le modalità prescelte per il sequestro non possono che essere ispirate a quelle finalità essenziali della tortura pubblica di tipo punitivo e/o intimidatorio».

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Erano le 19.41 del 25 gennaio 2016 quando il giovane ricercatore friulano inviò il suo ultimo messaggio

Dal canto suo il Procuratore aggiunto di Roma, Sergio Colaiocco, illustrando la lista dei testimoni, depositata all’attenzione dei giudici, in cui compaiono i nomi, tra gli altri, dell’ex premier Matteo Renzi e dell’ex ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ha messo in fila i tasselli di una indagine complessa che, per anni, si è dovuta scontrare con il muro eretto dalle autorità egiziane e con veri e propri depistaggi.

Sono complessivamente dieci gli elementi probatori definiti dal pm «decisivi» a carico dei quattro. Tra i punti compaiono i video della fermata della metro del Cairo dove Giulio venne prelevato a cui mancano i dieci minuti in cui fu preso, il personal computer di Regeni, che ha fornito elementi utili sul movente, i tabulati telefonici. Per la Procura di Roma uno degli elementi è rappresentato dai tanti tentativi di depistaggio sull’individuazione dei quattro imputati: si va dal movente sessuale, alla rapina a quello più grave, a detta dei Pm, vale a dire il ritrovamento dei documenti del giovane in una abitazione collegata a una banda criminale poi uccisa dalle forze dell’ordine egiziane.

Dalla Procura è arrivata anche un vera e propria richiesta di aiuto alla Farnesina per consentire l’ascolto in aula dei 27 testimoni che vivono in Egitto. «Servirà un proficuo lavoro del Ministero degli Esteri – ha detto il rappresentante dell’accusa – che dovrà suscitare la collaborazione delle autorità egiziane. Solo la polizia egiziana, infatti, può notificare gli atti e dare il via libera per ascoltare a processo i 27 testimoni inseriti nella nostra lista e che vivono in Egitto. Questa collaborazione sarà fondamentale per una compiuta ed esaustiva ricostruzione dei fatti».

Nella prossima udienza, fissata per il 9 aprile, verrà ascoltato il papà di Giulio, Claudio Regeni. E sia il padre sia la madre Paola Deffendi non hanno voluto tornare sull’incontro di domenica al Cairo tra la premier Meloni e il presidente Al Sisi. «Non commentiamo le parole della Meloni, diciamo solo che nel nostro Paese fortunatamente c’è la separazione dei poteri, a differenza di quello che succede nei regimi», si sono limitati a dire.

«Sul rapimento, le torture e la morte di Giulio Regeni pretendiamo verità fino in fondo. E sappiamo che quello di Al Sisi era allora come è ora un Paese in cui non si rispettano i diritti umani», scrive sui social Roberto Fico, ex presidente della Camera e presidente del comitato di garanzia del Movimento 5 Stelle, da sempre vicino alla famiglia Regeni nella ricerca di verità e giustizia.

Il consigliere regionale di Open Sinistra Fvg Furio Honsell definisce «grave il silenzio del governo italiano sul processo agli imputati per l’omicidio di Giulio Regeni, a margine dell’incontro bilaterale della premier Meloni con il presidente egiziano Al Sisi».

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