I diari inediti di Giancarlo Rossi sulla Provincia

«La nascita della Provincia di Pordenone fu principalmente una questione tutta interna alla Democrazia cristiana, in cui i dc pordenonesi, spalleggiati dai parlamentari dc veneti, con cui Gustavo Montini aveva importanti rapporti, giocarono una delicata partita a scacchi con i loro amici democristiani udinesi. E la vinsero». A cinquant’anni dall’istituzione della Provincia (abolita) emergono i retroscena che portarono all’autonomia del Friuli occidentale, le serrate trattative per la prima presidenza monocolore e all’accordo con altri partiti, dopo avere messo all’angolo la Dc udinese, grazie all’intervento di Arnaldo Forlani, allora segretario nazionale scudocrociato. Passaggi che emergono dal ritrovamento dei diari segreti di Giancarlo Rossi che il figlio Alberto pubblicherà a breve sotto il titolo “Voglio parlarti ancora”, intervista immaginaria e veri contenuti. «I diari, custoditi in un raccoglitore rosso, furono scritti tra il 10 novembre 1968, il giorno successivo all’elezione di mio padre a segretario provinciale della Dc e il 12 ottobre 1974, giorno delle dimissioni».
La prima pagina del diario – rigorosamente scritto a mano: pensieri personali, valutazioni educate, ritagli di giornali, lettere, bigliettini, mai una considerazione negativa nei confronti di altre persone – è scritta il 10 novembre 1968, all’indomani dell’elezione: «Non nascondo che oggi mi sento un po’ più superboe ciò non è certamente bello, né costruttivo, né esemplare».
Tre le figure che Giancarlo Rossi individua come «grandi» per essersi battute per il riconoscimento dell’autonomia provinciale: il senatore Zefferino Tomè e gli onorevoli Leo Girolami e Giuseppe Garlato. Ma questo dinamismo, scrive, «a favore dell’autonomia provinciale costò caro a Zefferino, perché la commissione elettorale della Dc di Udine, al termine di quella legislatura gli tolse, per ritorsione, il collegio senatoriale».
Dai diari emerge la propensione del Pordenonese al Veneto. Il senatore Gustavo Montini, “padre effettivo” della Provincia e originario di Rovigo, a 36 anni era sindaco di Pordenone. «Era cresciuto nella grande scuola della Dc del Veneto. E Pordenone sentiva fortemente questo richiamo. Nel dibattito che precedette la nascita della Regione non mancarono i sostenitori di una soluzione veneta, in contrapposizione all’ipotesi della grande provincia friulana capitanata da Udine e se alla fine prevalse quest’ultima, fu soltanto quando Pordenone ottenne l’assicurazione che, nell’ambito dello Statuto, avrebbe ottenuto il riconoscimento della sua autonomia». Montini ebbe «il grande merito di aggregare la maggioranza dei sindaci della Destra Tagliamento e se non ci fosse stato questo traino la Provincia non sarebbe mai nata».
Le trattative per il presidente della Provincia cominciarono a primavera 1970. Giancarlo Rossi, originario di Correggio, si dichiarò subito indisponibile: «Ritenevo opportuno dovesse essere un esponente locale, pordenonese di nascita e non solo d’azione come il sottoscritto». Puntò sull’avvocato Danilo Pavan, piuttosto restio ad accettare. «La sua decisione dipendeva dalla scelta del capogruppo. Acconsentì per l’avvocato Glauco Moro» al quale venne assegnato un collegio d’elezione sicuro, a Brugnera, «dopo l’indisponibilità delle sezioni dc di Aviano, Casarsa e Pasiano». Forze Nuove e la Dc della “Base” non era entusiasta della soluzione individuata da Rossi. «Il 5 maggio Pavan mi telefonò: rinunciava. Riattaccai veramente sconfortato». Dopo molte insistenze, l’11 maggio arrivò il sì. «L’avvocato Pavan – scrive Rossi – trascorse ben 19 mesi in un campo di concentramento nazista ed era stato decorato di croce al merito. Era iscritto alla Dc dal 1948. Era stato assessore comunale di Pordenone e consigliere della provincia di Udine. A me sembrava che la sua esperienza potesse essere messa utilmente al servizio della nuova provincia». Le elezioni provinciali del 7 giugno 1990, le prime, premiarono la Dc: 45,4 per cento dei voti, 11 seggi su 24. «Pordenone si rivelava la provincia più bianca della regione».
La partita delle alleanze post voto. La Dc guardava al Psi, uscito dalla scissione che aveva dato vita, il 5 luglio 1969, al Psu. «L’8 luglio in comitato provinciale ribadii che l’alleanza di centro-sinistra era presupposto irrinunciabile per il governo di Provincia e comuni». La prima giunta, dunque, fu monocolore dc: presidente Danilo Pavan, assessori Elio Susanna, Carlo Ferrari, Domenico Pitton, Guido Porro, Pio Beltrame e Tito Pasqualis. «Pur essendo una giunta minoritaria, le deliberazioni passarono quasi tutte all’unanimità, perché era chiaro per tutti che quelli erano momenti importanti per l’avvio del nuovo ente intermedio».
Restava il problema delle alleanze. «A Udine si volevano varare in Comune e Provincia giunte con il Psi e il Pri, ma non con il Psdi. Feci esplicita richiesta al segretario regionale della Dc di portare la questione dal segretario nazionale». Arnaldo Forlani il 9 novembre ricevette la delegazione friulana: venne accettata la linea di Giancarlo Rossi. «Per una volta, Pordenone aveva determinato la linea regionale del partito in materia di alleanze, costringendo anche Udine ad adeguarsi. Fu un grande successo politico». Dall’aprile 1971 «iniziarono a sciogliersi le giunte monocolori che vennero via via sostituite da governi di centrosinistra con maggioranze politiche».
Il 12 ottobre 1974 Giancarlo Rossi di dimette da segretario provinciale della Dc. Durante un’assemblea di partito, a Prata, il 12 luglio precedente, era stato colpito da infarto. Portato all’ospedale di Pordenone, sarà ricoverato nel reparto di prima medicina generale retto dal primario Silvano Antonini Canterin, dal quale aveva raccolto il testimone della segreteria provinciale Dc. «Mi ha premurosamente e affettuosamente curato. Gliene sarò sempre grato». Poi annota le dimissioni: «Pensavo di riempire di appunti altri quaderni. Invece le cose sono andate un po’ male per me. Purtroppo non sono più in grado di portare a termine il mandato, ho bisogno di un lungo periodo di riposo e non posso pensare di fare l’eroe. Sono padre di due figli e ho una famiglia da mantenere».
Due quadernoni, copertina color ciclamino. In fondo al secondo, un foglietto, con un ringraziamento anonimo, ricevuto al termine del mandato di sindado di Pordenone. «Voglio dirti grazie, sindaco, per ciò che hai fatto per la nostra città. Sei stato fratello, amico della gente. Con lei hai amato, sofferto e lottato. A chi ti ha chiamato hai dato risposta, a chi ha bussato hai detto di entrare. Nella storia di Pordenone – e tu ci sarai – vorrei fosse scritto che hai teso la mano al povero, all’anziano, all’handicappato e al disoccupato. Hai insegnato che il Vangelo così va praticato. E allora, grazie sindaco, per ciò che hai fatto per la nostra città». Firmato: «Un cittadino che ha ricevuto del bene».
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