Gli scrittori friulani ricordano Eco: "Anticonformista colto e ironico, ha saputo scuotere le coscienze"
UDINE. Filosofo, semiologo, esperto della comunicazione e dei media. Umberto Eco aveva 84 anni. In tanti, in tantissimi lo ricordano per essere stato l’autore de “Il nome della Rosa”, ma la sua opera è vastissima e, come detto, investe diversi campi della cultura.
Ricordare la sua carriera, la sua vita, i suoi lavori è come dare forma a un pezzo significativo della storia culturale italiana. Non è un compito semplice. E non siamo qui per questo. Però è un fatto, la cultura è in lutto. E lo è anche la cultura friulana.
Qualcuno lo ha incontrato personalmente, come Pino Roveredo, che dice di «aver avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo. Era una persona profondamente intelligente e infinitamente allegra nel privato – ha confidato –. Una persona che tu ascolti e da cui cerchi di catturare il possibile».
Nonostante la sua posizione «ti faceva sentire a proprio agio. Ho in particolare un grandissimo ricordo - ha raccontato Roveredo -, il ricordo di una volta in cui mi disse, “Leggi il meno possibile, non contaminarti”. Un indirizzo che mi diede dopo aver letto dei miei scritti».
«Era un intellettuale fuori dal comune, che non imponeva il suo sapere, ma che ti allietava con la sua conoscenza, ti accompagnava. Questo, credo sia stata la sua grandezza». Con Umberto Eco «abbiamo perso uno dei pochi intellettuali chiari nelle sue posizioni.
Posizioni che spesso sono andate contro corrente. Giusto cosí. Perché le posizioni intellettuali non devono far piacere agli altri, e in questo Eco è stato uno degli ultimi esempi».
Chi, come lo scrittore pordenonese Tullio Avoledo, non lo ha conosciuto di persona, rimane comunque commosso dalla sua scomparsa: «È una grande perdita. È una di quelle persone che sei abituato a dare per “scontato”, quelle che non pensi un giorno possano non esserci piú».
A suo avviso, oggi «siamo tutti piú poveri». Eco è stato «uno dei pochi intellettuali italiani conosciuti e apprezzati nel mondo intero. Era dotato di grande senso dell’umorismo e di ancor piú di grande intelligenza: un anticonformista nato». «Da ragazzo - ha raccontato Avoledo - avrei voluto essere uno dei suoi allievi al Dams di Bologna, mi sono spesso pentito di non averlo fatto».
Parole di lode anche per il lavoro del filosofo di Alessandria: «I suoi saggi, sin dagli anni ’70, hanno fatto parte della mia formazione. Anche quando ho scritto la mia tesi ho seguito un suo ottimo manuale che spiegava come si fa una tesi di laurea, quindi, ho un debito con lui anche per questo».
«Come narratore considero “Il nome della rosa” un risultato superbo e per certi aspetti insuperabile, anche da Eco stesso, un libro che ha aperto la strada a un genere e che ha dimostrato meravigliosamente come si possano intrecciare una grande cultura con un senso perfetto della trama e del piacere di leggere».
Anche Irene Cao si dice scossa, «ma la vita è cosí, è una passaggio e come tale va accolto». Il suo primo ricordo del grande scrittore risale al tempo del liceo.
Quando studiò “Il nome della rosa”, una memoria ancora potente. Per la giovane scrittrice si è trattato di «una mente illuminata come poche. Credo che non sia facile arrivare a certo livelli di pensiero. Non vedo tanti nomi in grado di sostituirlo. Quello che ci ha trasferito è stato un pensiero forte, che lascerà traccia, per sempre».
Mauro Corona, che ha avuto «la fortuna di conoscerlo», ha parlato di Umberto Eco come di «un uomo che con parole semplici» ha cercato scuotere le coscienze. Senza imporre il suo pensiero, ma sollecitando ciascuno a pensare.
Ecco quindi che secondo Corona «per ricordare Eco, non bisogna costruire in suo onore monumenti o dare il suo nome a vie o rifugi alpini. Questo – ha precisato lo scrittore – sarebbe quasi fargli del male». «Conoscendolo - ha detto ancora Corona -, per omaggiare Umberto, bisogna imitarlo. Certo, non si può scrivere i libri che ha scritto lui, cosí belli, raffinati, difficili. No. Bisogna imitarne il comportamento umano e giornaliero. Ecco il messaggio che ha lasciato e che vorrei tutti raccogliessero».
«Io imito Umberto Eco non nello scrivere libri, ma nel comportarmi, nel ragionare prima di eleggere miti e idoli, nel seguire un po’ la coscienza, il ragionamento, nell’informarmi di piú, nel leggere di piú».
La cultura quindi è in lutto. È vero, ed giusto. Ma, nel contempo, com’è altrettanto giusto, plaude a una mente come poche. Un intelletto capace di illuminare sempre, anche oggi che non dà piú indirizzi ma “legge” quelli dati da chi è rimasto.
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