«Giulio Melilla in campo gridava “Forza ragazzi!” e l’entusiasmo volava»
UDINE. Sportivo vero, fisico invidiabile, ma anche molto generoso. Il Giulio Melilla che la pallacanestro udinese vuole ricordare è quello che sul campo metteva tutta la propria grinta, per vincere e omaggiare la canotta arancione, targata Snaidero.
Era la seconda metà degli anni Sessanta, quando Melilla, playmaker pugliese cresciuto in Abruzzo, arrivò a Udine. Nel ’67, anno della promozione in serie A, lui giocava a Varese, ma poi tornò l’anno successivo, diventando il capitano di una squadra che dal suo carisma si faceva trascinare.
«Quando eravamo in svantaggio lui gridava “Forza ragazzi!” e con il suo entusiasmo ci ridava la spinta giusta». Lo ricorda così Roberto Snaidero, figlio dell’allora presidente e cavalier Rino e fratello di Edi, numero uno del secondo ciclo arancione degli anni 2000.
«Ci sono tanti ricordi che mi tornano alla mente – continua –. Quando si perdeva, ad esempio, era difficile trattenere mio padre e il lunedì, nell’intera azienda di Majano, regnava il silenzio. Melilla allora andava nel suo ufficio, accompagnato dall’allenatore Kristancic, per tranquillizzarlo».
Nel 1968, quando tornò in arancione, era ancora uno dei più giovani. Davanti c’erano giocatori più esperti come Nino Cescutti e Giancarlo Sarti, il quale avrebbe presto chiuso la sua carriera di giocatore. Tuttavia, gli bastò poco per prendere le redini della squadra e diventare, assieme al suo “gemello” Piero Gergati, titolare.
«Aveva un culto dell’allenamento impareggiabile – dice lo stesso Sarti –, perché prima di venire in palestra faceva lunghe camminate, poi, scherzosamente, si avvicinava ai compagni e, tendendo i muscoli delle sue cosce, diceva: “Senti qua cosa c’è”. Era simpatico ed entusiasta, nonostante le sue debolezze».
L’uomo Melilla, infatti, è fatto di luci e ombre, ma dal punto di vista cestistico ha lasciato il segno. Cescutti, a tal proposito, dice: «Lui abruzzese, era innamorato dei friulani che lo avevano adottato. Quando giocava dava tutto ciò che poteva dare. Finiti gli allenamenti, poi, lo vedevi saltare su per i gradoni del Carnera e continuare l’attività fisica».
Melilla, che per sette anni giocò alla Snaidero, condividendo il campo con giocatori come Allen, Mc Daniels e Claudio Malagoli, finì la sua carriera di giocatore a Pordenone, per poi diventare allenatore. Pur cambiando diverse squadre, vinse lo scudetto con la Pagnossin Treviso femminile, nel 1981.
Anche dalla panchina era capace di trasmettere la stessa grinta che era abituato a mettere in campo. Ne parla così Giampiero Savio, udinese doc e vincitore di uno scudetto con la Virtus Bologna nel ’94.
«L’ho avuto sulla panchina avversaria per più di un’occasione – dice – e anche lì dava ai suoi ragazzi una grande spinta emotiva». Savio, che conobbe Melilla a 16 anni, quando militava nelle giovanili arancioni, era ancora in buoni rapporti e spesso lo prendeva in giro per quella sua parlata abruzzese un po’ «strascicata».
«Mi ricordo – continua –, che facevo spesso la sua imitazione, ma mai davanti a lui. Quando nel settembre 2002 abbiamo giocato una partita tra veterani del Real Madrid e della Snaidero, i miei compagni mi hanno chiesto di riproporre il gioco, ma a tradimento. Lui si era nascosto, mi ha sentito e poi ha fatto capolino, ridendo e abbracciandomi forte».
Per concludere, il professor Flavio Pressacco, autore dello scudetto Snaidero juniores del ’76 proprio con Savio, traccia un ritratto non meno significativo. «Melilla fu un giocatore della modernità, grazie alle sue grandi capacità atletiche e di fondamentali. Spero che la comunità udinese possa stringersi attorno alla sua figura».
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