Giallo di Udine, un mese dopo senza verità: la vita di Rosetta tra la spesa a Godia e le messe al Bearzi

A trenta giorni dall’omicidio l’assassino resta ancora senza volto. Abbiamo ricostruito alcuni tasselli di vita di Rosetta Quaiattini: nel passato dell’anziana tanta sofferenza e poche conoscenze



Quando aveva incrociato tra i corridoi del Distretto sanitario di via San Valentino gli occhi preoccupati di una giovane donna alle prese con un carcinoma al seno, Rosetta Quaiattini s’era aperta, colma di pietà. Lei, che indossava la tuta verde da ausiliaria, si era sentita in dovere di rassicurarla. Ci era passata e aveva sconfitto il male, che l’aveva colta negli anni della morte di mamma Jolanda, con la quale condivideva l’alloggio di via Emilia.


Anziana muore carbonizzata, giallo in una casa di Udine


In quella stessa casa, trent’anni dopo, Rosetta Quaiattini ha trovato la morte. Uccisa la sera del 25 gennaio scorso da qualcuno che probabilmente aveva conquistato la fiducia di una donna guardinga, restia alle confidenze, in perenne conflitto con vicini, colleghi di lavoro, parenti. È passato un mese dall’omicidio di Beivars: l’assassino che ha accoltellato e poi dato fuoco al corpo dell’ex ausiliaria sanitaria non ha ancora un volto, alle indagini non è stata ancora impressa quella svolta attesa da molti.





Una curiosità mescolata più al timore di un omicida potenzialmente ancora a piede libero che alla volontà di ottenere una giustizia di cui in pochi a Beivars paiono essere assetati. Una richiesta quasi sommessa, perché pochissimi a Rosetta erano affezionati. Per questo cercare di ricostruire la tormentata esistenza della settantenne significa incamminarsi in un dedalo fatto di inestricabili «non so», di porte chiuse, di persone incapaci di tratteggiare il profilo di quella «signora bionda con la Panda, sempre ben pettinata e con il rossetto sulle labbra».




Rosa nasce in casa, a Beivars, quando Umberto II è re da una settimana . È il 16 maggio 1946 che mamma Jolanda Shaurli dà alla luce la primogenita, nata dal matrimonio con Melchiorre. Battezzata pochi giorni dopo da don Luigi Bortolussi, riceve la cresima undici anni dopo, il 19 gennaio del 1957, “confermata” dall’arcivescovo Giuseppe Zaffonato (madrina è Giovanna Grimaz di Faedis), come testimoniano gli atti - rigorosamente in latino - conservati negli archivi della parrocchia di san Giacomo di Beivars.


Nel 1951 nasce il fratello Renato. Rosetta ha vent’anni quando papà Melchiorre muore. Tocca a lei seguire la mamma, rimasta vedova: la donna morirà nel 1986, in seguito a una brutta caduta in casa. Un lutto che minerà in maniera definitiva, forse anche per ragioni legate all’eredità il rapporto con il fratello minore.






Ottenuta la licenza media, Rosetta frequenta un corso professionale che la abilita a lavorare come ausiliaria tra le corsie dell’ospedale di Udine. «Me la ricordo, eravamo colleghi. Aneddoti? Lasciamo stare, va’», sbotta un uomo sulla settantina, facendo traballare il calice di bianco ormai mezzo vuoto su un tavolo del bar Alla cooperativa di via Bariglaria, sorta di “mecca” per i pensionati di Beivars. «Non aveva un carattere facilissimo, la Rosetta», stringe le spalle un uomo sulla settantina, quasi a scusare il compagno di aperitivo. Lui abita a poche decine di metri dalla casetta di via Emilia 125. «Non salutava neppure. Però dispiace, così non si può morire», sospira scuotendo la testa.




La Quaiattini ha lavorato per anni nel reparto di Diabetologia del Santa Maria della Misericordia. Poi, complice un carattere non propriamente affabile e qualche alterco con i pazienti, la direzione dispone il trasferimento al Distretto sanitario di via San Valentino, dove completa il proprio percorso lavorativo, prima di andare in pensione a neppure cinquant’anni, all’alba degli anni Novanta.




La settantenne non aveva frequentazioni abituali. Negli ultimi anni, quelli delle denunce a ripetizione contro i vicini di casa, aveva scelto scientificamente di diradare le sue apparizioni a Beivars. La spesa a Godia, la messa al Bearzi, qualche puntata verso via Martignacco, dove ha sede il Centro antiviolenza
Iotunoivoi Donne insieme
, che aveva frequentato per un biennio a cavallo del 2013.

L’unica tappa più o meno fissa era in via Bariglaria, all’edicola gestita da Antonio Scilipoti: «Non ha mai concesso confidenza: parcheggiava la sua Panda qua fuori, col muso puntato verso Godia. Entrava, salutava, prendeva sigarette e giornale e poi spariva», spiega il titolare. Cattolica osservante, Rosetta andava a messa a giorni alterni. Non a Beivars, ma al Bearzi, forse per evitare di incrociare sguardi conosciuti. Don Olivo Bottos racconta però che fino a cinque anni fa non erano infrequenti le visite dell’ausiliaria in pensione alla casa canonica di via Bologna.
 


«Almeno due-tre volte al mese veniva qui, si confidava – spiega il parroco – spesso scoppiava a piangere raccontandomi delle sue paure». Per anni ha fatto capolino ad agosto e settembre per prenotare le messe in suffragio per i genitori, «alle quali però non partecipava mai. “Va bene così, padre, non si preoccupi”, si schermiva». «L’ho vista l’ultima volta due giorni prima dell’omicidio – alza gli occhi al cielo don Olivo –. Ha girato la Panda nella piazzetta davanti alla chiesa: mi ha visto, ma non ha risposto al mio cenno di saluto. L’ho vista scura in volto, ricordo di aver pensato tra me e me: ce mal mitude, Rosete».

Le paure

Don Olivo riavvolge il nastro dei ricordi per tratteggiare la figura della parrocchiana: «Denotava uno stato d’animo di profonda prostrazione, ai limiti della depressione. E stava male per la situazione che viveva: mi raccontava di strani traffici fuori da casa sua, mi parlava di camion e di scambi di droga fuori da casa sua». Timori che la Quaiattini era riuscita a manifestare anche alla presidente dell’associazione Iotunoivoi Donne insieme, Eleonora Baldacci: «Mi spiegava che la tenevano d’occhio dagli alberi davanti casa, notava episodi di scambi: parlava di secchi lasciati e ripresi, si sentiva derisa dai vicini e aveva paura».

Con le volontarie del sodalizio di via Martignacco Rosetta si era aperta: «Ero stata a casa sua – spiega Baldacci –, lei fino al 2013 veniva spesso nella sede della nostra associazione, si era legata molto a noi. Una nostra associata mi ha raccontato l’episodio degli anni Novanta, quando Rosetta la consolò nella malattia». Era una bella donna, in gioventù: non si era mai sposata, eppure quando era più giovane le frequentazioni maschili non erano mancate.

E anche negli ultimi anni usciva di casa sempre impeccabile, con la piega perfetta e il rossetto sulle labbra.



L’ombra del satanismo

L’anziana di Beivars aveva denunciato la presenza di strane croci fatte di sale e legno nel suo giardino. Simbolo del maligno, che lei stessa era convinta di dover combattere. C’è chi, qualche mese prima della morte, l’ha vista con le mani affondate nell’acqua della roggia che scorre dietro casa sua. «Tolgo i sassi impuri», aveva spiegato a un contadino che stava dissodando la terra nei campi protesi verso il Torre.


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