Friuli fanalino di coda a Nordest: bruciati 6.500 posti di lavoro, under 45 senza alternativa

Regione spaccata in due: dal 2008 al 2017 scesi i dipendenti del privato a Udine e Pordenone, aumentati a Gorizia e Trieste



Il Fvg resta fanalino di coda in un Nordest che ha riguadagnato i livelli occupazionali pre-crisi quanto a dipendenti del settore privato. Non è bastata l’accelerazione dell’ultimo triennio: il numero complessivo dei lavoratori resta inferiore di 6 mila 500 unità a quello del 2008. Nell’anno d’esordio della crisi economica i lavoratori subordinati erano 297 mila, sono precipitati di 26 mila unità in sei anni arrivando a 271 mila nel 2014 per poi iniziare una lenta risalita nel triennio successivo che ha riportato il numero degli occupati dipendenti sopra le 290 mila unità nel 2017 (+19 mila).


La dinamica è tornata positiva, non ancora abbastanza però da riportare lo stock di occupati del settore privato ai tempi ante crisi. Il saldo resta negativo: -6 mila 500 unità (-2,2%) rispetto al 2008. A scattare l’istantanea è il ricercatore dell’Ires Alessandro Russo che allo scopo ha utilizzato dati provenienti dall’archivio amministrativo Inps delle denunce retributive mensili relative al settore privato non agricolo (escluso anche il lavoro domestico). L’elaborazione dei dati ha permesso a Russo di ottenere una dettagliata fotografia di quel che è accaduto in Fvg all’occupazione privata negli ultimi dieci anni.


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Il confronto 2008-2017 a livello territoriale permette di osservare una diversa dinamica a livello di territori. Da un lato infatti Gorizia e Trieste hanno già recuperato i valori pre crisi, con una crescita rispettivamente del +2,1% e del +5%, contrariamente al Friuli che invece permane in area negativa, a Pordenone del -5,2%, a Udine del -4,2%. Diversa la situazione delle altre regioni a Nordest che evidenziano tutte incrementi, anche considerevoli. Se la macro-area mette a segno un aumento complessivo del +2,4% di occupati nell’arco del decennio, le singole regioni si muovono con passo diverso. Il Veneto cresce un po’ meno della media (+1,6%), l’Emilia Romagna un po' di più (+3%), il Trenino Alto Adige è protagonista di un vero e proprio exploit (+9,5%).




In termini di qualifiche dei lavoratori, la perdita occupazionale si è concentrata soprattutto tra gli operai, con mansioni strettamente produttive (-4,9%, pari a -8.156 unità rispetto al 2008), e gli apprendisti (un terzo in meno, -34,6%). Sono diminuiti anche i dirigenti (126 in meno tra 2008 e 2017, -6,6%) al contrario di impiegati (+4,5%) e quadri (+17,8%). La ripresa dell’occupazione nell’ultimo triennio ha interessato in egual misura uomini e donne, con una variazione positiva che è stata per entrambi del +7%, concentrata in particolar nell’ambito del terziario. Vedasi la ristorazione che ha visto aumentare gli occupati del 31,3%. Positivo, benché più moderato rispetto agli altri dati presi in considerazione, l'andamento degli occupati nel settore manifatturiero (+2,8% tra 2014 e 2017) a differenza dell’edilizia che è rimasta invece in area negativa (-6,4%).


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Sono i contratti a termine ad aver trainato verso l’alto l’occupazione, cresciuti tra il 2014 e il 2017 del 32,5% (pari a +12 mila 696 unità), ben più dei tempi indeterminati che sono cresciuti sì, ma solo del 2,8% (+6.547 unità). «Nel 2015 – ricorda Russo – si è registrato un notevole impulso all’occupazione a tempo indeterminato dopo anni di declino, complici gli incentivi concessi alle imprese, che prevedevano l’abbattimento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (fino a 8 mila e 60 euro all’anno per un triennio). Inoltre, da marzo 2015, nell’ambito del Jobs Act è entrato in vigore il cosiddetto contratto a tutele crescenti, con cui è stata introdotta una nuova regolamentazione dei licenziamenti individuali e collettivi».


Il risultato di questi provvedimenti è stato in prima battuta ampiamente positivo: tra dicembre 2014 e dicembre 2015 in Fvg il numero di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato (apprendistato escluso) è cresciuto di oltre 12 mila 300 unità per poi diminuire di mille e 200 unità nel 2016 (causa la riduzione dell’entità) e di 4 mila 300 occupati nel 2017. «La differenza – rileva ancora Russo – rimane ancora positiva, pari a quasi 6 mila 800 occupati in più a tempo indeterminato nella nostra regione (da 222 mila 442 sono passati a 229 mila 232). Nel contempo l’incidenza dell’occupazione a termine è salita dal 12% di fine 2015-inizio 2016 a valori vicini al 20% negli ultimi mesi dello scorso anno». Sono cresciuti infine anche i contratti part-time che nell’ultimo triennio hanno messo a segno un +11% contro lo 0,4% dell’occupazione a tempo pieno.

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Raddoppiati gli addetti con più di 54 anni

 La crisi economica ha impresso i suoi effetti sull’occupazione anche a livello anagrafico colpendo in particolare le generazioni giovani al contrario di quelle “over”. Particolarmente rilevante è infatti l’aumento dei lavoratori con più di 54 anni che sono più che raddoppiati tra il 2008 e il 2017, passando da 21 mila 724 unità a 44 mila 939 unità.

Il giro di boa nel decennio si ha intorno ai 45 anni d’età. Prima gli occupati calano, dopo invece crescono. Mettendo in fila i dati, Ires osserva infatti un consistente aumento – in media del 50% – dei dipendenti con più di 45 anni, effetto sia dell’innalzamento dell’età pensionabile, sia delle dinamiche demografiche in atto. In Fvg, infatti, nell’ultimo decennio la popolazione nella fascia di età 25-44 anni è diminuita del 21%, che significa quasi 76 mila residenti in meno, mentre nella classe 45-54 anni è cresciuta del 20%, pari a 33 mila unità in più (fonte Istat).

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L'effetto sul mercato del lavoro

L’effetto sul mercato del lavoro è stato evidente. Dai 68 mila 520 del 2008, i lavoratori tra i 45 e i 54 anni sono passati a 90 mila 749 (+32%), mentre come detto gli over 54 anni sono più che raddoppiati (+106,9%).
Se dunque da un lato le classi d’età superiori hanno fatto significativi passi avanti, dall’altro a patire sono stati i giovani. Gli occupati under 25 del settore privato, che nel 2008 erano 24 mila 654, nell’arco del decennio sono “caduti” del 32%, perdendo ben 7 mila 878 posti di lavoro in questa fascia d’età cui va aggiunta la selezione fatta tra le file dei lavoratori tra i 25-34 anni, passati da 81 mila 160 a 56 mila 417 (-30,5%, 24 mila 743 lavoratori persi in valore assoluto). Ennesimo segno meno davanti alla classe d’età 35-44: la variazione nel triennio è stata del -19,2% (-19 mila 385 unità).

Il totale è di 52 mila posti di lavoro andati in fumo tra le file degli under 45 contro i 45 mila 444 guadagnati dagli over, tanti ma insufficienti a recuperare il gap dell’occupazione giovanile che ha scontato, tra l’altro, anche la riduzione degli apprendisti (-34,6%). Altra dinamica evidente di questi ultimi anni è l’aumento particolarmente sostenuto dei rapporti di lavoro a tempo parziale. Considerando i soli contratti a tempo indeterminato, Ires osserva che la componente part time nell’ultimo decennio è passata da circa il 18% del totale al 25%. L’incidenza per le donne è aumentata dal 39% al 48,5%, per gli uomini è raddoppiata, dal 4% all’8%, a indicare che sempre più spesso si tratta di una condizione involontaria, determinata dall’impossibilità di trovare un’occupazione a tempo pieno, con evidenti riflessi negativi anche sulle retribuzioni in busta paga.

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