Franca Leosini: "Pelosi sa, ma non dirà chi uccise Pasolini"

La giornalista ha raccontato storie maledette al direttore Cerno. «Nelle borgate romane lo scrittore cercava l’innocenza del Friuli»
Udine 28 Maggio 2016 Teatro Nuovo dentro il delitto con Leosini e Cerno Copyright Petrussi Foto Press
Udine 28 Maggio 2016 Teatro Nuovo dentro il delitto con Leosini e Cerno Copyright Petrussi Foto Press

UDINE. Pino Pelosi conosce i nomi di chi picchiò a morte Pier Paolo Pasolini. Ne è convinta la signora della televisione, la giornalista Franca Leosini, autrice di “Storie maledette”.

Lei che per prima, nel 1998, intervistò Pelosi nel carcere di Rebibbia, dove scontava una pena per furto e che, qualche anno dopo, in un bar di periferia, come due amanti segreti, lo incontrò più volte prima di andare in onda con l’intervista in cui Pelosi raccontò la sua verità (Pasolini sarebbe stato picchiato e ucciso da tre uomini arrivati all’idroscalo di Ostia a bordo di due auto e una moto), è convinta che Pelosi non rivelerà mai quei nomi perché «esiste la pelle».

Pelosi tace perché teme per la sua vita e per quella di suo figlio. Da quell’intervista scattò la rivisitazione del processo e la nomina della commissione d’inchiesta parlamentare.

Questa è solo una delle rivelazioni fatte dalla signora della televisione al direttore del Messaggero Veneto, Tommaso Cerno, sul palco del teatro Giovanni da Udine, prima della chiusura della festa di compleanno del Messaggero Veneto. Leosini e Cerno hanno ricordato l’intellettuale friulano nel teatro che avrebbe dovuto portare il suo nome.

«Quando venne terminato - ha raccontato il direttore - la città non era ancora pronta a chiamarlo Pasolini e, senza dirlo, preferì chiamarlo Giovanni da Udine, grandissima figura, allievo di Raffaello. Pasolini venne cacciato dal Friuli, nel 1949 fu oggetto di un’indagine e di un odio».

E lei, la professionista che prima di andare in onda studia le carte processuali e non rivela le domande ai protagonisti delle storie maledette, ha ricordato che a Pasolini «il torto non glielo fece il Friuli, ma il Partito comunista. E la platea ha applaudito. Nel cuore di Pasolini, il Friuli rimase come una radice profonda, nelle borgate romane viveva le notti dannate pensando di trovare l’innocenza del Friuli».

Sintetico, preciso, elegante come sa essere Leosini in video, il confronto non poteva evitare di soffermarsi sull’intervista che Leosini fece a Rudy Guede, l’unico condannato per la morte di Meredith Kercher. Anche Rudy, per la prima volta, raccontò la sua verità alla signora della Tv e lei con un pizzico di orgoglio ha ricordato che «Guede ha avuto il suo primo permesso e che chiederà la revisione del processo».

Quella di Leosini è una storia di successo e di fatica perché lei, e questo ha tenuto a ribadirlo, entra nelle storie maledette. Sceglie le tematiche, una per tutte Adele, la cinquantenne che uccise il compagno 26 anni più giovane di lei perché le disse «sei troppo vecchia per me».

Studia gli atti del processo, la psicologia del personaggio e l’ambiente in cui si è consumata. Annota tutto sul librone che utilizza durante le puntate. «Gli intervistati non conoscono mai le domande che porrò, diversamente sarebbe un falso in atto pubblico. E io non conosco le loro risposte per questo studio i verbali perché, non dimentichiamolo, esiste una verità processuale».

Un lavoro lungo che richiede molto tempo, da qui il numero ridotto delle puntate delle varie edizioni di Storie maledette.

Incalzata da Cerno che le ha chiesto di descrivere il peso che assume la vicinanza all’atto oscuro, Leosini ha ammesso che il suo distacco nei confronti delle storie maledette è solo apparente.

«Vivo profondamente le storie, lo faccio con rispetto nei confronti del miei interlocutori, rispetto i loro errori e forse anche per questo rivelano a me quello che non hanno detto nei processi». E mentre Cerno ricordava che Leosini è in grado di dire quello che nessuno dice, lei ricordava alcune frasi famose come «il dito birichino».

E soffermandosi sul significato dei tre verbi a lei cari «capire, dubitare e raccontare», Leosini ha preferito non giudicare il lavoro dei colleghi ammettendo, però, di apprezzare meno quando la cronaca giudiziaria diventa «mangime per gossip».

Resta fermamente convinta che «siano tutte tragedie umane che vanno trattate con attenzione. Vedo aspiranti colleghi mandati a bussare alle porte dei protagonisti delle vicende e a chiedere “cosa prova?”. In quei casi mi vengono i brividi e dico “poverini”. Osservo, ma non giudico. Io svolgo il lavoro in un modo diverso».

Tanti gli applausi dalla platea attenta alla giornalista che, come ha evidenziato Cerno, racconta le storie senza effetti speciali.

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