Florean e Venturin i due testimoni della rappresaglia sulle famiglie udinesi
vicende
Il nostro Vittorio Emanuele II fu collocato poco dopo l’unificazione del Friuli all’Italia nella piazza centrale della città a segno di una ritrovata appartenenza alla Patria e, in anni più recenti, con la Patria divenuta repubblicana, divenne – in una notte – negletto e obsoleto in virtù di un referendum, e dunque fatto rapidamente sloggiare. Ricordo, in proposito, che un mio insegnante supplente al liceo (ahimè scomparso), quindi divenuto apprezzato architetto e consulente della locale amministrazione, e che ci intratteneva poco dopo la sua laurea con affabulanti lezioni sulla storia dell’arte, qualche anno fa propose di restituire il Savoia, esiliato ai Giardini Ricasoli (collocazione peraltro non nuova e non bizzarra, atteso che, in vita, il Barone Ricasoli già ospitò, nel 1863, lo stesso Vittorio Emanuele II nel suo Castello di Brolio) nel succinto spazio di Vicolo Pulesi, così certo riportandola in area centrale, prossima a Mercatovecchio, ma mettere un Re a cavallo in un angusto vicolo (e poi, Pulesi… chi era costui? ). Meglio, molto meglio, l’esilio in compagnia del nobile e già frequentato Barone.
Un’operazione di igienizzazione etica che, se pur tardivamente estesa ai secoli passati, non potrà che fungere da prudente profilassi per quelli venturi. È più o meno questo che deve aver pensato la Repubblica di Venezia quanto a metà del ’500, nella remota tenenza friulana, decise di radere al suolo i palazzi delle due famiglie, epperaltro imparentate, che ringalluzzivano in Udine e che, non si sa mai, avrebbero potuto rappresentare, quanto meno la vincente, un potenziale pericolo per il potere della Repubblica sul territorio. E così che, a Udine, nascono un paio di piazze, le odierne XX Settembre e Venerio, slarghi creati dall’abbattimento di palazzi nobiliari e, soprattutto, decapitazioni di un crescente potere locale che prudentemente andava abortito in favore della Serenissima dominante. Che Udine non abbia avuto un Ducato Savorgnan o un Ducato Torriani (o Della Torre) si spiega un po’ con la non elevatissima qualità degli aspiranti e molto con la regia dei dominanti. Ma di tutto ciò non si conserva apprezzabile traccia locale, né questo pare vissuto come una minorazione di identità. E, per tornare alle statue, Ercole e Caco (anche note come Florean e Venturin), erano appunto ciò che resta del palazzo Della Torre abbattuto e, anch’esse – nostro malgrado – spostate, hanno – chissà perché – da tempo trovato posto nell’attuale piazza Libertà. Ora, queste due davvero brutte, ipermuscolari, tozze e iperpalestrate rappresentazioni di eroi mitici in nulla migliorano (anzi!) l’eleganza raffinata di una meravigliosa piazza veneziana che pare (come è) costruita da un sapientissimo orefice, che nulla perderebbe (anzi! ) dalla loro restituzione alla sede d’origine. E analoga carenza di identità accompagna l’adiacente “piazza Venerio”, anch’essa da sempre alla ricerca della sua identità “rubata”, ora, da un pur valente meteorologo ottocentesco (Gerolamo Venerio) ma che in nulla aiuta a comprendere la sua storia, la sua origine, il suo destino fondativo dell’intera città (delete Savorgnan, decise Venezia). Lo stesso palazzo Savorgan nel quale Lucina Savorgnan “bellissima e leggiadra madonna” – come ci ricorda Luigi da Porto, nella sua storia di “nobili amanti” – avviò, nel corso di una festa, l’intreccio amoroso che fece da spunto al Romeo e Giulietta di Shakespeare.
Torniamo all’oggi. Si parla, ora, di far passare la ciclabile Alpe Adria per Mercatovecchio e il centro. Siamo sicuri di avere un’identità cittadina da offrire e che si rispecchi in una comprensibile storia della comunità, dei luoghi, degli spazi, delle rappresentazioni che possa essere assunta e goduta dai fruitori, fors’anche cicloturisti, e – perché no, anche da chi qua ci campa?
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