Fedriga preme sul Governo per export e cantieri: «Dannoso tenerli bloccati»

Il presidente continua a volere da Conte il via libera per quei settori già a partire da lunedì. Confermato il pressing delle Regioni Autonome per lo stop biennale ai Patti finanziari

Massimiliano Fedriga proverà fino alla fine a convincere Roma. Anche ieri, infatti, il governatore – con l’appoggio di buona parte dei suoi colleghi – ha chiesto a Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna e a capo della Conferenza delle Regioni, di premere su palazzo Chigi affinché Giuseppe Conte autorizzi alcune filiere economiche a ripartire prima del 4 maggio, cioè già da lunedì.

Nel mirino, come noto, ci sono soprattutto quelle aziende il cui fatturato è fortemente legato ai mercati esteri e che corrono il rischio di essere sorpassate dai competitors di quei Paesi che non hanno effettuato alcun lockdown o che, comunque, sono andati incontro a chiusure più leggere rispetto a quelle italiane.

«Siamo tutti d’accordo – ha spiegato il presidente – nel chiedere al Governo di accelerare sulle riaperture. Nessuno, ovviamente, pensa al tutto e subito, ma ci sono alcune filiere di produzione, e mi riferisco in particolar modo a quelle collegate all’export e ai cantieri pubblici, che non possono aspettare ancora. Sarebbe dannoso tenere le aziende di quei comparti chiuse fino al 4 maggio lasciando la scelta dei singoli casi ai prefetti».

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La teoria di Fedriga, d’altronde, è chiara e porta a ritenere che un via libera generalizzato, e non correlato alla singola decisione locale, consentirebbe non soltanto una procedura più omogenea, ma garantirebbe anche maggiore sicurezza ai lavoratori con le imprese che dovrebbero obbligatoriamente seguire i protocolli sanitari messi in campo in queste settimane di pandemia.

«Non sono molto fiducioso – chiosa il governatore – perché da quello che abbiamo appreso da Bonaccini pare che il Governo sia orientato a concedere soltanto piccole e limitate aperture, ma è evidente che noi ci proveremo fino in fondo».

In un mese di lockdown 23 mila aziende costrette a chiudere, solo metà ha potuto lavorare in emergenza coronavirus
Un operaio dotato di guanti, occhiali protettivi e mascherina, a lavoro nell'impianto produttivo di Alcantara, uno dei brand più importanti del Made in Italy, con sede a Nera Montoro, frazione del comune di Narni (TR), in occasione della riapertura dello stabilimento a seguito delle misure imposte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per arginare la diffusione del Coronavirus, 15 aprile 2020. ANSA/CLAUDIO PERI A worker equipped with gloves, protective glasses and mask, at work in the production plant of Alcantara, one of the most important brands of Made in Italy, based in Nera Montoro, a hamlet of the municipality of Narni in the province of Terni, on the occasion of the reopening of the factory following the measures imposed by the Prime Minister's Office to counter the spread of Coronavirus, 15 April 2020. Alcantara is one of the most important Made in Italy brands. ANSA / CLAUDIO PERI


Un altro tema fondamentale sul banco nelle trattative con il Governo riguarda poi la sospensione, ma sarebbe meglio dire la cancellazione, dei Patti finanziari siglati dalla Regione con lo Stato a fine 2018. Le quattro Regioni Autonome – Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta –, oltre alle Province di Trento e Bolzano, infatti, hanno manifestato al ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso la sottosegretaria Laura Castelli, l’intenzione di aprire una trattativa per, appunto, evitare di versare quest’anno, ma pure il prossimo, il saldo dovuto a titolo di compartecipazione ai meccanismi di risanamento della finanza pubblica. Il Friuli Venezia Giulia dovrebbe “girare” a Roma, nel 2020, qualcosa come 671 milioni di euro che scenderebbero a 596 nel corso del prossimo anno.

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Un operaio dotato di guanti, occhiali protettivi e mascherina, a lavoro nell'impianto produttivo di Alcantara, uno dei brand più importanti del Made in Italy, con sede a Nera Montoro, frazione del comune di Narni (TR), in occasione della riapertura dello stabilimento a seguito delle misure imposte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per arginare la diffusione del Coronavirus, 15 aprile 2020. ANSA/CLAUDIO PERI A worker equipped with gloves, protective glasses and mask, at work in the production plant of Alcantara, one of the most important brands of Made in Italy, based in Nera Montoro, a hamlet of the municipality of Narni in the province of Terni, on the occasion of the reopening of the factory following the measures imposed by the Prime Minister's Office to counter the spread of Coronavirus, 15 April 2020. Alcantara is one of the most important Made in Italy brands. ANSA / CLAUDIO PERI

La crisi economica che sta dilaniando il Paese e la regione – con quasi 900 aziende che hanno già chiuso i battenti in Friuli Venezia Giulia da inizio marzo – costerà, però, caro alle casse locali che secondo un primo calcolo a spanne potrebbero perdere tra i 500 e i 600 milioni di euro a causa del crollo del Pil e al relativo mancato introito correlato alle compartecipazioni erariali modificate nei mesi finali delle legislatura di Debora Serracchiani.

Tenendo in considerazione, inoltre, come la Regione si autofinanzi una serie di comparti determinanti e parecchio costosi – dalla sanità agli enti locali passando per il trasporto pubblico all’interno dei confini del Friuli Venezia Giulia –, è chiaro che il rischio, tra minori entrate e gettito da destinare a Roma, è quello di non riuscire più a offrire la stessa qualità dei servizi – se non le vere e proprie coperture economiche ai Comuni – messa in campo in questi anni.

Non stiamo parlando di pochi spiccioli, per capirci, perché se inseriamo nel calcolo quanto si dovrebbe pagare allo Stato nei prossimi due anni – 1 miliardo 267 milioni di euro – assieme alle probabili perdite di incasso per la regione nel solo 2020 sfioriamo la cifra di 2 miliardi: un’enormità per il bilancio del Friuli Venezia Giulia. È evidente, perciò, come mai Fedriga, affiancato dagli altri governatori per i rispettivi accordi siglati dalle Speciali, non voglia versare a Roma quanto pattuito quando il Covid-19 non si sapeva nemmeno cosa fosse.

Le Autonome, quindi, hanno chiesto al Governo di aprire una trattativa, ma dal ministro Roberto Gualtieri non è ancora arrivata alcuna risposta ufficiale. «È per questo motivo – ha concluso il governatore – che ho preteso da Bonaccini, assieme ai miei colleghi delle altre Speciali, che scriva una lettera formale al ministro affinché si possa intavolare un discorso quantomeno per i saldi dell’anno in corso». Il 2020, dunque, anche perché è probabile che per il 2021, sempre che il Governo accetti di trattare, si attenda la definizione della legge di Stabilità nazionale quando i numeri, nazionali e regionali, saranno più chiari così come le prospettive di crescita del Paese.

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