Elena, la ragazza dei monti che vive coltivando ortaggi

Abita in Carnia e studia all’Università. Punta a far crescere bene le verdure bio

VILLA SANTINA. L’occhio cade subito su un pensiero condiviso nel profilo Facebook, che contiene l’impegno per uno stile di vita diverso dalla corsa forsennata ad avere e apparire. Un messaggio controcorrente. Lo scritto è ben evidenziato, non può sfuggire.

«Il sogno delle ragazze è di andare a vivere a Roma, diventare veline e avere tanti soldi. Il mio è di guidare i trattori, zappare le patate e vivere in montagna».

Elena Sica ha festeggiato i 24 anni da pochi giorni: ragazza acqua e sapone, bel treccione, parlantina fluida con marcate inflessioni friulane, sempre pronta al sorriso accattivante con un pizzico di timidezza che non guasta.

Abita a Invillino, che è uno dei borghi più antichi della Carnia, in comune di Villa Santina, e non ha certamente l’ambizione di mettere radici nella Capitale. E nemmeno di inseguire una carriera nello spettacolo.

Da un paio d’anni è una coraggiosa imprenditrice agricola, che utilizza un ettaro e mezzo di terreno nel rispetto rigoroso dei protocolli biologici. La scelta di Elena si basa prevalentemente su convinzioni etiche e culturali.

Si sporca le mani con la terra e, quando la stagione agricola giunge al culmine delle attività, si sveglia alle 5 e va avanti fino a spaccarsi la schiena: «Lavoro a Ferragosto e in molti giorni festivi, ma non mi pesa, perché la passione fa sentire tutto più leggero».

Ha riconvertito i prati stabili di famiglia, prima lasciati alla fienagione, per coltivare ogni bendidio di ortaggi che assicurano un tripudio di colori e di profumi. Non butta via il passato di tradizioni, pur macinando futuro che si costruisce di giorno in giorno con sicurezza: «Se cadi ti rimetti in piedi».

È la legge della vita, che forse è conosciuta più in montagna (dove l’esistenza è dura) che in pianura. Il suo tocco caratteriale è ben segnato sul marchio aziendale: esprime libertà. Ha scelto infatti la sisile (termine friulano), cioè una rondine, come simbolo promozionale.

L’ha disegnata leggiadra, impegnata in un volo elegante, con le ali spiegate. «Ho amato la natura fin da bambina. In primavera – spiega – mi perdevo nella stalla a guardare le rondini nidificare sotto il tetto. Poi, per un periodo le ho perse di vista.

Al momento di avviare l’attività, guardandomi attorno, le ho risentite allegre. È un buon auspicio, perché rappresentano anche il ritorno dei giovani ai valori della terra». È un legame alla Carnia, che non le va assolutamente stretto: «Non serve scappare, qui ci sono tante risorse da valorizzare».

Elena ha deciso di restare in montagna. Non ha paura di essere tagliata fuori da opportunità economiche più interessanti: «Nessuna rinuncia, eh. Quando voglio vado in giro per il mondo. Ma qui non mi manca nulla. Nell’era degli smartphone, siamo anche noi connessi per non perdere di vista le grandi sfide». Non vuole sentire parlare di marginalità del territorio.

Studio e lavoro nei campi. Dopo aver chiacchierato a lungo con lei sui sogni di una vita in montagna, si potrebbe tentare di definirla una ragazza essenzialmente glocal, che vive nel locale, ma dentro orizzonti spalancati sul globale.

«L’uso corretto della Rete, di Internet, dei social, non fa perdere di vista nulla, lasciando saldi i rapporti con la propria terra». Non c’è soltanto una dimensione virtuale. Elena si è costruita anche un percorso di studi, con finalità orientate più sulla crescita culturale che sul titolo di carta.

Ha conseguito il diploma al liceo scientifico, perché le garantiva una visione più ampia rispetto a quella offerta da un istituto tecnico. Successivamente, alla ricerca di un po’ di autonomia economica dalla famiglia, ha optato per qualche lavoretto qua e là, prima in un bar e poi come assistente in uno studio dentistico: «Erano dei ripieghi che non facevano per me.

Soffrivo a stare chiusa. Ora mi sono liberata dalle catene». Elena si è presa un salutare anno sabbatico, che ha utilizzato per mettere assieme i pezzi del puzzle del suo futuro.

Alla fine ha optato per un’integrazione tra lavoro e scuola: la terra da arare e da seminare, gli ortaggi da raccogliere e da vendere; ma anche i libri da riprendere in mano. Due attività impegnative, che possono però convivere.

Così si è iscritta all’Università di Udine, in Scienze agrarie. Il poco tempo libero che le resta lo dedica ai due cavalli di sua proprietà, che rappresentano una passione presa dal nonno: Amin Guasimo, un purosangue arabo, e Zara, di razza avelignese.

Il ritmo delle stagioni scandisce i suoi impegni: primavera, estate e parte dell’autunno, senz’altro più lavoro; per il resto si dedica allo studio. Intanto, ha chiuso la porta alla solita agricoltura intensiva: meglio la biodiversità. Il reddito è importante per vivere, ma non è tutto.

Ci sono altri impegni, che si chiamano sperimentazione, creatività, senso etico: «Mi piace vedere realizzati molti sogni. Punto su coltivazioni che valorizzino gusti, sapori e profumi della Carnia».

Non lo dice, ma probabilmente lo pensa: anche questo è un percorso per ricostruire l’immagine di un luogo bistrattato da alcune operazioni spregiudicate e allegre, le quali hanno portato alla distruzione di CoopCa che ha causato guai economici e tanta disperazione, sia tra i dipendenti sia tra i risparmiatori.

Il lavoro dei campi è una forma di riscatto, che vale di più quando le attività sono gestite da giovani con la testa rivolta al futuro. «Tra di noi – spiega – ci sono scambi di esperienze con l’avvio di interessanti reti di micro-imprese».

Il ripristino del valore dell’orto. Elena non vuole strafare con la terra, perché anch’essa ha bisogno di riposare. La logica della conduzione dei campi è quella semplice degli orti di una volta, dove si coltivava tutto quanto potesse servire alla famiglia.

Le stagioni dettano ritmi precisi e la luna li completa: «Sì, credo nelle sue fasi e lego a esse la programmazione delle semine. La luna calante va bene per gli ortaggi che crescono sottoterra, o che hanno un ciclo vegetativo lungo.

Invece, quella crescente serve per le verdure che richiedono più sprint, cioè per quelle che si sviluppano con rapidità. Invece, per la raccolta, i criteri sono diversi, più flessibili: dipendono dal mercato. Magari sto attenta alla luna calante per i prodotti da conservare.

Ovvio che le insidie sono sempre in agguato: gelate primaverili, maltempo, condizioni incontrollabili. Tutto ciò rappresenta il rischio d’impresa». A sentire le spiegazioni di Elena, sembra di sfogliare il calendario di Barbanera, che è considerato ancora una sorta di guida dei contadini.

Consigli e previsioni, inseriti in una sorta di solco magico: “Il sol, la luna e ogni sfera or misura Barbanera, per poter altrui predire tutto quel che ha da venire”. Anche in queste procedure si colgono le differenze tra un prodotto di un’agricoltura intensiva e quello semplicemente “naturale”.

Cultura e mentalità del lavoro sono diverse: nel primo caso si bada all’apparenza, che porta a una quasi perfezione della forma; nel secondo caso, si ricerca l’esaltazione dell’odore e del sapore della terra.

Elena coltiva un po’ di tutto: zucchine, piselli, melanzane, peperoni, radicchio, cetrioli, sedano, carote, cipolle, verze, cavoli e cavolfiori, zucche.

«C’è quello che serve in cucina e direttamente in tavola», sospira con orgoglio. Un’operazione scrupolosa di selezione delle varietà strettamente locali riguarda i fagioli, con attenzione particolare ai borlotti di Invillino, e le patate a buccia gialla, rossa e addirittura viola.

Ogni stagione ha il suo prodotto dell’orto. Le fasi operative sono vissute come una conquista, soprattutto in luoghi di montagna, dove si fa fatica a trovare un’occupazione stabile.

È anche questo il motto della generazione dell’essenzialità: un lavoro ritagliato su misura, gestito in proprio, all’insegna di uno stile di vita impostato sulla serenità, che fonda assieme libertà e natura. Il guadagno viene con il tempo, e non senza sacrifici, dopo aver completato il business plan aziendale.

Un passo alla volta. Ora il sogno nel cassetto di Elena è il progetto, ravvicinato nei tempi, di un impianto di serre dove coltivare i piccoli frutti di bosco, soprattutto lamponi e more. L’obiettivo è quello di integrare il reddito, che per il momento è garantito (poco) dai raccolti in campo aperto.

Non solo. Un altro aiuto al bilancio potrà giungere in futuro anche dall’avvio di un laboratorio per vari tipi di conserve. Per il momento, questo tipo di attività è data all’esterno, per la precisione a una piccola azienda di fiducia, la quale confeziona prodotti sott’aceto e sott’olio seguendo scrupolosamente le ricette preparate da Elena: in questo caso la fantasia e il gusto si integrano con le tradizioni locali.

Quando tutto andrà a buon fine, si completerà la gestione dell’intera filiera, che prevede il passaggio diretto dal produttore al consumatore. Così sarà garantito il massimo livello di affidabilità, perché le persone saranno consapevoli di ciò che metteranno a tavola.

È un modo per “far vivere” il territorio fin dentro alla cucina, perché i luoghi si caratterizzano anche per i cibi. E la Carnia ha bisogno di questa ventata di freschezza.

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