ECCO PERCHÈ È STATO ASSOLTO FILIPPO GIUNTA

Il 13 maggio ero nell'Aula del Tribunale di Udine per l’ultima udienza del processo contro Filippo Giunta, organizzatore del festival musicale Rototom Sunsplash, accusato di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti secondo l’articolo 79 della legge antidroga, proibizionista e punitiva. Ora leggo con la stessa emozione le motivazioni scritte dal giudice dottor Matteo Carlisi per spiegare le ragioni di una assoluzione piena “perché il fatto non sussiste”. Il processo si era incardinato nell’ex Tribunale di Tolmezzo il 31 maggio 2012 e si è svolto con una condotta esemplare da parte della difesa e dell’imputato che hanno sempre rifiutato di usare mezzi anche leciti per ritardare il giudizio, speculando su una possibile prescrizione.
La motivazione argomenta con dovizia di riferimenti giurisprudenziali la vicenda in fatto e in diritto. Il primo elemento dell’accusa, quello previsto dalla legge, di avere “adibito un locale pubblico o privato a luogo di convegno di persone che ivi si danno all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope”, viene smontato al termine di un esame circostanziato della situazione con una frase intelligente e soprattutto con un ricorso piacevole all’ironia. Infatti il dottor Carlisi afferma seccamente: «Un parco non è un locale, ma casomai un luogo aperto al pubblico» e afferma che la norma che si richiama evidentemente alle fumerie di oppio ottocentesche oggi può semmai trovare correttamente applicazione a discoteche, pub o bar. É importante la sottolineatura che il parco del Rivellino era adibito con ogni evidenza al festival e che l’intento del legislatore era quello di punire la predisposizione di locali a un uso esclusivo del consumo di stupefacenti. Puntigliosamente la motivazione inchioda l’impianto accusatorio a una domanda, se cioè il festival costituisse una semplice copertura per costruire un ritrovo di consumatori di cannabinoidi o il consumo fosse un fatto incidentale. Viene negata anche una azione attiva od omissiva, ma semmai di semplice accondiscendenza che non configura il reato. Il fatto che il servizio d’ordine avesse un mandato di impedire l’uso di droghe pesanti e non quello di cannabis viene seccamente derubricato. Il giudice giustamente sostiene che non si sarebbe potuto chiedere a Giunta una avversione per chi facesse uso di cannabis e, cosa ancora più importante, richiama il valore costituzione di una manifestazione culturale che mette in gioco diritti fondamentali quali la libertà di espressione, di riunione e di associazione. Viene anche opportunamente segnalato il portato della cultura reggae. Addirittura viene ridicolizzata la tesi accusatoria; dal momento che furono richieste prescrizioni precise e accettate per l’edizione del 2009, si sarebbe dovuto procedere per collaborazione nel reato anche verso tutti coloro che avevano rilasciato le autorizzazioni a favore di Rototom.
La decisione di abbandonare Osoppo per un trasferimento all’estero non può essere considerata una colpa o un tentativo di sottrarsi ai controlli, ma «piuttosto una scelta obbligata», di fronte al ventilato sequestro preventivo dell’area del festival. É rivelatore del clima di repressione che caratterizzava la presenza delle forze dell'ordine all'interno del festival la constatazione che «le operazioni di polizia, infatti, oltre a reprimere lo spaccio, spesso colpivano i semplici consumatori di stupefacenti, con una durezza ritenuta a volte eccessiva».
Veniamo all'ultima accusa, che si potrebbe definire surreale, della presenza di un servizio legale. La cosa è liquidata con l’affermazione che si tratta di «un diritto civile fondamentale» e che per gli interventi per problemi di droga si trattava di un intervento legittimo «ad esempio per chiarire situazioni in cui qualcuno fosse stato ingiustamente accusato di detenzione a fine di spaccio anziché gli fosse riconosciuta la detenzione per mero uso personale». É una sentenza di alto valore giuridico che meriterebbe di essere studiata nei corsi della Scuola della magistratura e per parte mia la invierò al vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Giovanni Legnini, per segnalare non solo che «c’è un giudice a Udine», ma per chiedere una indagine su quanti casi di processi inutili e costruiti sul pregiudizio ideologico esistono e intasano i tribunali.
Che dire conclusivamente? Il giudice Carlisi fa opportunamente riferimento alla legge Fini-Giovanardi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale nel febbraio 2014 e questo richiamo interroga la politica che dovrebbe avere la responsabilità di cambiare profondamente la legge sulle droghe abbandonando il paradigma della war on drugs, in favore di una politica umana e intelligente. Della necessità della riforma abbiamo discusso a Udine in un seminario nel luglio scorso, proponendo testi legislativi che ora sono all'esame del Parlamento. Sarebbe una bella iniziativa se il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia facesse una proposta di legge alle Camere come prevede l'articolo 121 della Costituzione.
*già Sottosegretario alla Giustizia
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto