Ecco perché Blasoni resta in cella. «Ordinava di cambiare i dati»

Le motivazioni del Riesame sulla decisione di confermare la custodia cautelare in carcere per il patron di Sereni Orizzonti

UDINE. Nelle case per anziani della “Sereni Orizzonti” il problema non era gestire l’improvvisa assenza di questo o quell’operatore socio sanitario, bensì governare la ricorrenza di situazioni di sotto organico, camuffandole e ostentando così, sempre e comunque, i parametri di assistenza attesi.

A dirsene convinto, nelle novanta pagine dell’ordinanza depositata in questi giorni, è il presidente relatore del tribunale del riesame di Trieste, Laura Barresi, che il 12 novembre scorso aveva confermato la custodia cautelare in carcere per Massimo Blasoni, patron della società, e Ludmilla Jani, suo braccio destro e direttrice di “Area 1”, e gli arresti domiciliari per Laura Spera e Claudio Salvai, coinvolti nelle rispettive qualità di allora responsabile del personale e di direttore di “Area 2”.

Nel condividere l’impianto accusatorio della truffa aggravata ai danni delle aziende sanitarie per contributi non dovuti, così come ipotizzato dal pm Paola De Franceschi, e nel riproporre ampi stralci del provvedimento di applicazione delle misure cautelari del gip del tribunale di Udine, Mariarosa Persico, il giudice triestino ha tenuto conto anche delle testimonianze nel frattempo raccolte dalla Guardia di finanza tra direttori di struttura e dipendenti ritenuti «persone informate sui fatti» e delle dichiarazioni rese in interrogatorio da alcuni degli stessi indagati. Un quadro sufficiente, secondo il Riesame, per considerare i pericoli di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato ancora attuali al momento in cui le istanze furono discusse ed esaminate.

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Da allora, Blasoni ha affrontato un secondo faccia a faccia con gli inquirenti. Un interrogatorio fiume chiesto dai suoi difensori, gli avvocati Luca Ponti e Fausto Discepolo, e andato in scena il 29 novembre, sui cui contenuti vige il più stretto riserbo, ma che la Procura ha comunque definito «parzialmente ammissivo». Se questo si tradurrà in un mutamento dello scenario, quantomeno sul piano cautelare, è tuttavia presto da dire.

Intanto, sulla carta restano le valutazioni del Riesame. Che, ricordando anche l’intercettazione in cui Blasoni parla di sè come dell’«imperatore... Dio... il capo in questa azienda, ovviamente», ne sottolinea il ruolo di «dominus delle scelte in ordine alla necessità di nascondere il deficit» e la piena consapevolezza «della qualificazione giuridica della condotta posta in essere, che egli stesso definisce in un’altra intercettazione come truffa».

Un piano preordinato, insomma, come sostiene la Procura. «È lui stesso a suggerire come modificare i dati – scrive il collegio–, nella speranza non vi fosse il controllo, aggiungendo che, nell’ipotesi peggiore, si doveva sostenere l’errore, trattandosi di reato punibile a titolo di dolo».

Ed era stato sempre Blasoni a «suggerire» la soluzione di una falsa fattura di un fisioterapista e a «imporre» la riclassificazione degli ospiti, specie quelli privati, per arginare la richiesta di personale avanzata dai direttori delle strutture. Pur non ricoprendo ruoli all’interno dell’azienda, di cui era ed è socio di maggioranza, insomma, non c’era nulla che non passasse attraverso il suo vaglio.

«Lui promuove il mancato rispetto degli standard – conclude il Riesame –, lui autorizza la rendicontazione di dati non veritieri, lui impartisce le direttive per la riduzione del costo del personale ai danni dell’utenza ed esorta la modifica, distruzione e cancellazione dei documenti».
 

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