Duello Capanna-Veneziani sull’eredità lasciata dal ’68
Confronto appassionato nel convento di San Francesco tra i due intellettuali Visione diversa sulle conseguenze del «rasoio che separà il passato dal futuro»

Un confronto appassionato, non uno scontro, fra due intellettuali che la pensano in modo diverso – Marcello Veneziani e Mario Capanna –, ma che si rispettano e si stimano, uniti da un fervore ideale assai raro da rintracciare nel dibattito politico odierno. Sul piatto un tema che, con l’avvicinarsi delle celebrazioni per i 50 anni, sarà oggetto di innumerevoli iniziative: il ’68, il «rasoio che separò il passato dal futuro», come ha scritto Time. Palcoscenico del “duello”, l’ultimo della versione autunnale di Pordenonepensa, il convento di San Francesco, a Pordenone. È Capanna, che fu fra i principali leader del Sessantotto e segretario di Democrazia proletaria, autore fra l’altro del libro “Formidabili quegli anni”, a prendere per primo la parola. Per sottolineare alcune conseguenze di quel movimento giovanile, «fatti inequivocabili» come lo Statuto dei diritti dei lavoratori diventato legge nel 1971 o la liberalizzazione dell’accesso allo studio nelle università (prima del ’69 consentito soltanto ai diplomati nei licei). Ma anche per constatare, con amarezza, come «i poteri abbiano poi spinto il mondo in direzione contraria agli ideali per cui abbiamo tanto combattuto» e ci ritroviamo oggi di fronte alla «terza guerra mondiale a pezzi», a un «precariato mondiale causato da una globalizzazione a senso unico» e a «un Paese che è fanalino di coda nel rapporto fra diplomati, laureati e popolazione».
Una rivoluzione di costume, più che politica, un clima, più che eventi veri e propri: per Veneziani il ’68 è stato «una sorta di ideologia della liberazione» dai legami che caratterizzavano la società tradizionale, un «parricidio gioioso» in cui, oltre ai padri dai figli, si sono separati «i diritti dai doveri», la «libertà dalla responsabilità» e «il merito dal riconoscimento». Ed è nata «una società che ha interrotto la voglia di avvenire, all’insegna di un bruciante presente». Dunque, «una rivoluzione che ha liberato la borghesia dai moralismi del passato per produrre una società gaudente, cinica e nichilista». E quando ha abbracciato i grandi poteri economici «è diventata conformismo di massa, ha creato luoghi comuni e codici ideologici, da rispettare implacabilmente per essere ammessi al proprio tempo, come il politically correct». Una deriva che per Capanna è invece da imputare «all’edonismo e allo yuppismo degli anni 80». E quel movimento che mobilitò milioni di persone «politicamente non ha ancora vinto, ma continua a scavare sottotraccia. Segnò un’epoca, come accadde per la Rivoluzione francese o per la Resistenza, che pur con i loro errori hanno insegnato all’umanità che è possibile prendere la strada di un cambiamento vero».
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