Delitto Yara, dal Friuli le prove contro Bossetti

Gli esperti di Pordenone e Udine hanno fatto riaffiorare da sim e pc ricerche on line su sesso, tredicenni e “ragazzine rosse”
In un fermo immagine tratto da un video della polizia il 19 giugno 2014 le fasi del fermo di Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio. .ANSA/ UFFICIO STAMPA POLIZIA .+++HO - NO SALES - EDITORIAL USE ONLY - NO ARCHIVE+++
In un fermo immagine tratto da un video della polizia il 19 giugno 2014 le fasi del fermo di Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio. .ANSA/ UFFICIO STAMPA POLIZIA .+++HO - NO SALES - EDITORIAL USE ONLY - NO ARCHIVE+++

PORDENONE. «Sesso delle tredicenni», la stessa età di Yara. «Ragazzine rosse», come rossiccia di capelli era Yara. «Fatti di cronaca in merito a rapimenti e violenza su minore», come l’episodio di cui è accusato Massimo Giuseppe Bossetti.

Il carpentiere ricorreva a schermi protettivi, per non lasciare traccia delle sue ricerche on line, sia via telefono sia via pc. Inutilmente, perché la chiave di volta, che ha permesso di redigere una perizia di 133 pagine consegnate alla Procura di Bergamo, l’hanno fornita gli specialisti della European data recovery (Eds) Tools, azienda con sede a Udine e laboratorio informatico al polo tecnologico di Pordenone.

Gli esperti informatici hanno visionato la memoria, anche remota, dei nove cellulari, anche quelli inutilizzati, sim card comprese, in dotazione al muratore di Mapello e consegnato gli esiti ai carabinieri.

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Tutto materiale che ha corroborato la tesi della procura, che ieri ha notificato l’avviso di conclusione indagini al difensore del 44enne in carcere dal 16 giugno 2014, ritenendo che l’uomo, «senza ombra di dubbio» avrebbe ucciso Yara Gambirasio. Il pubblico ministero Letizia Ruggieri contesta al muratore l’omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dalle sevizie.

Il delitto. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la sera del 26 novembre 2010 Bossetti avrebbe colpito la ragazzina con pugni o con un corpo contundente sul capo, per poi ferirla con uno strumento acuminato, che fa pensare ad un cutter, utilizzato nei cantieri edili, abbandonandola «agonizzante» nel campo di Chignolo d’Isola, dove poi è morta. Il suo corpo fu ritrovato tre mesi dopo.

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Yara Gambirasio alla sua cresima nel maggio 2010. ANSA / GIAMPAOLO MAGNI

Per la Procura «rilevante» è anzitutto l’esito degli accertamenti medico-legali e tecnico-scientifici: si va dalle tracce di materiale biologico riconducibili a Bossetti individuate su slip e leggins indossati dalla ragazzina il giorno in cui è sparita al rinvenimento sul suo corpo e su alcuni suoi indumenti di tracce di polveri legate all’attività edilizia, fino al rinvenimento sulle scarpe e su alcuni vestiti di Yara di tracce di particelle sferiche e di tessuto la cui presenza è stata riscontrata sul furgone di Bossetti.

Gli inquirenti evidenziano come durante le perquisizioni domiciliari siano stati rinvenuti diversi coltelli e si ritiene che l’uomo avesse una larga disponibilità di strumenti utilizzati in genere nei cantieri, le cui caratteristiche sono compatibili con l’arma del delitto.

Legami sospetti. C’è un legame, secondo l’accusa, tra Bossetti e Chignolo d’Isola, luogo di cui è stata accertata la sua «frequentazione e conoscenza».

C’è un legame tra una bolla d’accompagnamento che riguarda un metro cubo di sabbia da trasportare in un non ben precisato cantiere vicino al campo e la volontà da parte del muratore di «precostituirsi una sorta di salvacondotto» per potersi aggirare nella zona, nel tentativo forse di verificare le condizioni in cui si trovava il cadavere.

«Lo vidi con Yara». Aveva gli occhi «come quelli di una volpe» che le aveva attraversato la strada qualche giorno prima: A.A. è convinta che l’uomo che vide in macchina con una ragazza, che lei ritiene fosse Yara, era Bossetti, come testimonia ai carabinieri.

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La donna in quel periodo frequentava la zona del centro sportivo di Brembate di Sopra (dove si allenava Yara) poichè accompagnava la figlia nella sede di una società ciclistica.

Una mattina mentre aspettava la figlia «vede entrare un’auto di colore grigio chiaro modello Station Wagon», come quella di Bossetti. Il conducente le si era fermato davanti, «fissandola intensamente, tant’è che l’atteggiamento dell’uomo l’aveva spaventata».

Il colloquio in carcere. Secondo la procura è fondamentale il colloquio di Bossetti con i familiari, il 23 ottobre 2014, nel quale ha ricordato con precisione che la sera in cui Yara scomparve pioveva o nevicava e che il terreno del campo era ridotto a fanghiglia.

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Importanti anche le dichiarazioni del padre anagrafico di Massimo, Giovanni Bossetti, che a giugno aveva raccontato che la sera in cui venne ritrovato il cadavere di Yara il figlio, mentre passava dal campo di Chignolo d’Isola, chiamò la madre al telefono invitandola a raggiungerlo, ma lei declinò.

A questa circostanza si aggiunge quella riferita da un’amica di Marita Comi, moglie di Massimo Bossetti: convocata come testimone, aveva raccontato di aver raccolto una confidenza della stessa Marita, la quale le aveva detto che si era recata con il marito sul campo di Chignolo d’Isola, dove era stato trovato il corpo di Yara.

«Ti ricordi che tu eri li! Vedi? Come fai a ricordarti che è quel giorno lì? Vuol dire che ti ricordi che quel giorno lì era novembre». La moglie incalza il marito: «Non mi hai mai detto che cosa hai fatto quella sera. Io non ricordo a che ora sei venuto a casa, non ricordo».

Quando si scopre che il furgone di Bossetti è nelle strade attorno alla palestra l’ora precedente la scomparsa della ragazzina, la donna incalza ancora: «Non puoi girare lì tre quarti d’ora, a meno che non aspettavi qualcuno». Il resoconto è nelle 60 mila pagine di atti messe a disposizione della difesa.

Yara Gambirasio in alcune immagini inedite il giorno della Cresima il 23 maggio 2010. ANSA/GIAMPAOLO MAGNI
Yara Gambirasio in alcune immagini inedite il giorno della Cresima il 23 maggio 2010. ANSA/GIAMPAOLO MAGNI

La ricerca in cimitero. Massimo Bossetti e la moglie attraversarono insieme il cimitero di Brembate di Sotto, e provarono a cercare la tomba di Yara Gambirasio, senza trovarla. In una intercettazione, la moglie dice a Bossetti di non aver mai più visto i coniugi Gambirasio, ma di essere entrati nel cimitero.

Marita: «No, al cimitero, passati dentro quasi dritti per uscire dall’altra strada, ti ricordi?». La donna, in un’intervista andata in onda ieri sera a Quarto Grado, ha spiegato di essere convinta «dell’innocenza di mio marito. Non ho alcun dubbio».

Tumore fasullo. Per sottolineare la «spiccata capacità di mentire» che investigatori e inquirenti ritengono Bossetti abbia dimostrato nel tempo, l’avviso di conclusione indagini cita «l’emblematica simulazione di un tumore al cervello e la necessità di essere sottoposto a chemioterapia per cercare di assentarsi dal cantiere ed eseguire piccoli lavori extra».

Consegnati i dati dei cellulari di Bossetti

Ossessione per le minori. Le ricerche on line dell’uomo rivelano la sua «ossessione» per le ragazze tredicenni, rosse di capelli, illibate. Piero Milan, uno dei proprietari della Eds Tools, premette: «Siamo in grado di estrapolare molti dati anche di dispositivi non più funzionanti», come nel caso di sette dei nove cellulari appartenuti a Bossetti.

Di quei dispositivi «abbiamo recuperato tutto, consegnandolo agli inquirenti». Nove telefoni cellulari, altrettante sim card, un pc Toshiba, un portatile Acer, tre chiavette usb, una macchina fotografica digitale Nikon. È la lista del materiale elettronico analizzato. Al netto degli schermi protettivi ai quali ricorreva il carpentiere, secondo gli inquirenti, per celare le navigazioni effettuate con computer e telefonini, c’è un altro particolare inedito contenuto nella relazione consegnata alla Procura.

Dalle navigazioni on line, il muratore manifesta un forte interesse per il «sesso delle tredicenni», per le «ragazzine rosse tredicenni, vergini». Secondo l’accusa è la carta più importante dopo quella che documenta la prova regina del Dna di ex Ignoto 1. La consulenza rappresenta una minuziosa analisi del flusso di file, ricerche, accessi, la maggior parte coperti da Bossetti con sistemi di «navigazione privata o anonima».

Quando era in difficoltà, dicono i periti, non esitava a cliccare su pagine specifiche - per esempio azpoint.net - che pubblicizzavano sistemi di eliminazione. Nell’attività di recupero delle informazioni, gli esperti sono riusciti a risalire “solo” alle voci di ricerca e ai link. Ma, secondo la Procura, tanto basta per ampliare la gravità degli indizi a carico del carpentiere.

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