Dai tatuaggi femminili in San Giacomo alla Beata Elena Valentinis

UDINE. Il palcoscenico estivo, a Udine come ovunque, ha per protagoniste le donne. Tutte, di ogni età. E l’estate del 2015 segna nelle file del mondo femminile il trionfo definitivo del tatuaggio con il suo significato e messaggio da leggere e capire. Il tatuaggio al maschile spesso è banalotto e teso più che altro a gonfiare ego e aspetto fisico del personaggio.
Il tatuaggio nella donna invece diventa un piccolo racconto su chi lo porta, sulla sua personalità, sulle attese, sulla inquietudine. Questo accade nelle file di trentenni, quarantenni, cinquantenni eccetera, mentre tra le ragazzine naturalmente è un orpello più che altro estetico.
Sedersi ai tavolini di un bar in piazza San Giacomo e guardarsi attorno, con educazione e discrezione, può offrire un interessante viaggio in quella mappa dei sentimenti disegnata sulla pelle di chi è lì accanto, presa da altri pensieri e conversazioni, ma con il suo “urlo” stampato sul braccio, sul polso, sul collo, sul polpaccio, sulla schiena, in posizione visibile e percepibile agli sguardi estranei grazie alla leggerezza degli abiti estivi.
È un universo, questo delle donne udinesi, quasi sempre raccontato dagli uomini visto che l’atavico maschilismo domina. Ma ci sono uomini che sanno anche cogliere aspetti nascosti, come è accaduto con lo scrittore Alberto Garlini che nel 1999, nel suo primo libro, “Friulani brava gente”, diceva: «Il sole scintilla sulle strade di porfido, via Mercatovecchio riceve luce obliqua, un’aria profumata corre tra le teste delle fanciulle appena sbocciate... Una donna cammina e l’aria le passa fra i vestiti, e io vorrei essere l’aria, e gli occhi sono distratti. Udine è più bella per le sue donne, almeno fino al prossimo acquazzone».
Trovare invece racconti proprio al femminile non è facile. Risalendo al recente passato è necessario riscoprire le delicate, romantiche pagine di Nadia Pauluzzo D’Aronco, capace di narrare la poesia di una estate sulla Bariglaria o il rito dell’anguria mangiata in compagnia. Minimi dettagli d’una città che affiora solo nei ricordi. Venendo ai nostri giorni, è interessante seguire i libri di Elena Commessatti, dove emerge una Udine al femminile insolita nei riferimenti e nello stile.
Per esempio, nel libro “Femmine un giorno”, pur dedicato alla tragica serie di delitti avvenuti tra anni Settanta e Ottanta, entra in scena un personaggio, Agata Est, con la quale si viaggia nei meandri e nello stupore di una città dove i convenevoli sono sostanza e dove «l’acqua delle rogge scivola sempre attorno alle coscienze».
Dentro una storia truce e complessa, c’è spazio per descrizioni di un ambiente popolato da donne simpatiche, attive, attraenti, simili a quelle celebri della poesia “Le golose” di Guido Gozzano che scrisse: «Io sono innamorato di tutte le signore che mangiano le paste nelle confetterie...».
Per dimostrare quanto sia maschilista finora il romanzo dedicato a Udine e al Friuli, si può riaprire anche il volumone “Uomini e tempi”, una sorta di Treccani elaborata dal principale intellettuale di casa nostra, don Giuseppe Marchetti, con le biografie dei grandi, dalle origini.
Ebbene, su 120 nomi, solo due sono di donne: una è la dolce Irene di Spilimbergo, morta ventenne nel 1559, divenuta famosa perché ritratta da Tiziano in un dipinto di dubbia attribuzione, e l’altra è la contessa Caterina Percoto, simpatica single, ribelle e anti convenzionale, una che fumava il sigaro in faccia ai maschi. La Percoto, vissuta nell’Ottocento, contestava le istituzioni che vigilavano sulla moralità delle ragazze. C’era il convitto delle Zitelle in via Zanon, che accoglieva «giovani sane, belle e in pericolo di perdere la loro onestà». C’era il collegio della Provvidenza in via Ronchi per «fanciulle derelitte dai 7 ai 12 anni».
E c’era il Micesio che si occupava di “giovinette pericolanti” (proprio così). E va anche ricordato un altro fatto curioso considerato che la storia udinese è più stramba di quanto alle volte appaia. Proprio grazie alla temuta malizia femminile, la città ha adesso uno dei suoi capolavori artistici.
Accanto al duomo sorgeva il teatro Mantica e contro la sua presenza tuonava un certo predicatore Concina da Clauzetto. Non vi aveva mai messo piede, ma gli dicevano che lì a interpretare le parti femminili erano proprio le donne, e non più uomini camuffati come in passato. Per di più, svestite, quasi nude. Concina tanto tuonò che alla fine il patriarca Daniele Dolfin acquistò nel 1754 il teatro, superpagandolo, e lo trasformò in scuola per la dottrina cristiana da destinare alle fanciulle, costituendo una fondazione chiamata “Le Grazie delfine”.
Sorse così quello che conosciamo come Oratorio della Purità e per decorarlo con affreschi e dipinti chiamarono il grande Giambattista Tiepolo, accompagnato dal figlio Domenico. Fu forse l’opera più rapida mai eseguita al mondo. I due arrivarono con pennelli, colore e impalcatura il 14 agosto 1759 e tutto era già finito il 16 settembre. Un mese appena, a cavallo di ferragosto.
Ma Tiepolo era fatto così. Lavoro, lavoro, nessuna distrazione. Non come il suo conterraneo Carlo Goldoni, che visse tre anni a Udine tra un amoretto e l’altro, zona Chiavris soprattutto. Parlando di donne, il discorso diventerebbe infinito.
Non possiamo però dimenticare il simbolo delle donne udinesi, ovvero la loro beata, Elena Valentinis. È sepolta in duomo in un altare tutto per lei a ricordo di questa donna, madre di sei figli, che si ritirò dal mondo facendosi terziaria agostiniana dopo la morte del marito, nel 1441.
Cognome interessante il suo in quanto si trattava di Antonio Cavalcanti, fiorentino venuto a Udine per fare il drappiere, e naturalmente richiama alla mente il Guido Cavalcanti dantesco. Elena fu proclamata beata con tre secoli di ritardo, a metà Settecento, quando il Papa dovette farsi perdonare dai friulani lo scioglimento del Patriarcato di Aquileia.
Come contentino, decise di promuovere alla santità la pia Valentinis, trovatasi suo malgrado al centro di un affare di Stato. Ennesima prova che a decidere finora sono stati sempre gli uomini. Partendo dai tatuaggi si arriva in un soffio al profondo Quattrocento, ma questo è il lato nascosto di Udine, pur sempre una città di irriducibili sognatori. Chi è il re dei sognatori? Ha un nome e cognome. Alla prossima (conclusiva) puntata.
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