Da ieri la sala rossa è sala “Aldo Missinato” Omaggio al fotografo che catturava il tempo

Cinquant’anni di lavoro senza un giorno di ferie, un indissolubile legame con la comunità. Ha anticipato la tecnologia 

l’intitolazione

antonio bacci

L’uomo che catturava il tempo ha da ieri un posto speciale nella casa dei pordenonesi.

La sala rossa del municipio è diventata sala “Aldo Missinato”. Le riproduzioni dei suoi scatti in bianco e nero restituiscono colore a un luogo di progettualità, allo spazio in cui gli sposi si promettono amore e fedeltà.

E cinquant’anni di lavoro senza un giorno di ferie sono più che una testimonianza di amore e fedeltà. Sono ciò che questo fotoreporter, capace di anticipare tecnologia e futuro, ha dedicato alla sua gente e alla sua passione. Che in fondo, nel suo caso, coincidevano. Il sindaco Alessandro Ciriani e l’assessore Walter De Bortoli ne hanno ricordato il percorso e il restyling dell’architetto Paolo Bigi. Il figlio Michele, che ne ha raccolto il testimone al Messaggero Veneto, ha tagliato il nastro insieme ai familiari.

Lui, intanto, che sarebbe arrossito e avrebbe minimizzato, imbarazzato per ritrovarsi, una volta tanto dalla parte opposta, dell’obiettivo, se la sarà risa da lassù. Proprio come quando estraeva dal taschino il catalogo delle barzellette e ti sfidava a dire un numero da uno a cento, che tanto ridevi comunque.

Aldo è stato social prima dei social. Si faceva la fila, davanti alla vetrina della sua bottega, per scoprire quale colpo di teatro avesse riservato la notte, quali fossero le immagini che avrebbero corredato le notizie sui quotidiani dell’indomani.

Perché le foto erano già sviluppate: acqua, acidi, pinzette, filo per asciugare e tanto amore.

Aldo ha guardato tutti dall’alto, prima dei droni. Gli bastava il bastone in cima al quale portava, issata, la Rolleiflex. Scattava con un pulsante, dal piano di sotto, e andate in sala rossa al secondo piano del municipio a cercare di capire la differenza, se siete capaci.

Aldo si è anche spinto oltre il dolore, le morti cruente dei figli Massimiliano e Marcello e poi di Maurilio. Le ha fotografate, quando il mestiere l’ha richiesto, ha nascosto le lacrime in camera oscura, e ha tirato avanti.

Come la sua gente. Dopo il Vajont e il terremoto, o quando la montana sommergeva sogni e masserizie.

Nella buona e nella cattiva sorte. Nelle gioie e nei dolori. Come uno sposo, fedele al suo mestiere e alla sua terra. A una città che gli ha portato in dote la sala dei matrimoni. In fondo, la foto perfetta. —

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