Crisi, se ne vanno pure i rifugiati politici

PORDENONE. Fuggono da guerre e persecuzioni, dalla miseria e dalla fame. Sono i rifugiati e richiedenti asilo che, dal 2001 in via continuativa, sono stati accolti nell’ambito del progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) finanziato dal ministero dell’Interno.
A oltre 10 anni dall’avvio dell’iniziativa, la cui gestione è affidata all’associazione Nuovi vicini onlus, aderiscono il Comune di Pordenone e l’ambito socio-assistenziale di Sacile. Nelle abitazioni messe a disposizione sono accolti coloro che arrivano in Italia per chiedere asilo politico o che hanno ottenuto il riconoscimento di rifugiato politico o altre forme di protezione umanitaria. All’origine del progetto ci fu la scelta di non concentrare gli immigrati in luoghi unici, ma di distribuirli sul territorio.
«È la migliore tipologia di accoglienza - afferma Davide Frusteri, responsabile del progetto -. Allo stato attuale abbiamo disponibilità di 20 posti a Pordenone e 15 nel sacilese». Frusteri parla di disponibilità, ma in realtà i posti vengono occupati non appena si liberano.
Le modalità di arrivo sono diverse: «In alcuni casi si presentano direttamente alla Caritas - prosegue il responsabile del progetto - oppure sono segnalati dalla Prefettura o dal sistema centrale Sprar». In quest’ultimo caso può accadere che il sistema chieda la disponibilità di posti per richiedenti asilo provenienti dai centri di accoglienza di tutta Italia. Gli appartamenti a Pordenone sono 4; altrettanti posti sono nella casa dei lavoratori San Giuseppe.
Un appartamento è a Sacile e uno ad Aviano. Nella cittadina pedemontana da alcuni anni è stata destinata all’accoglienza la canonica della parrocchia di Villotta di Aviano. «Qui - prosegue Frusteri - ospitiamo le famiglie anche perché sono aiutati dalla comunità parrocchiale». In questi anni sono transitate 240 persone, tra cui 32 famiglie, per una permanenza che, in base alla legge, dovrebbe essere di 6 mesi, ma che può essere prorogata nel caso in cui le persone frequentino work experience, corsi di formazione professionale o abbiano problemi di salute.
La tendenza nell’ultimo periodo, corrispondente all’acuirsi della crisi, è quella di fermarsi poco: una volta ottenuto il riconoscimento, gli immigrati partono alla volta di altre località italiane o Paesi europei. L’effetto della carenza di lavoro si fa sentire.
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