Commercialisti, la “ricetta” di Colin «Mettersi in rete e specializzarsi»

l’intervista
C’è chi li benedice e chi li vede come il fumo negli occhi. Chi li ritiene azzeccagarbugli e chi, invece, deve loro la salvaguardia di un patrimonio. Da una parte i contribuenti, dall’altra lo Stato e in mezzo loro, i commercialisti. Una categoria chiamata a cambiare insieme all’epoca in cui vive e ad adattare la propria professionalità in funzione di una giungla normativa in costante espansione e di clienti sempre più stressati.
Alla guida dell’Odcec (Ordine dottori commercialisti ed esperti contabili), in provincia di Pordenone, c’è dal gennaio 2017 Michela Colin. Tosta, determinata, ha voluto «mettere a disposizione del mio territorio un’esperienza pluriennale nel mondo ordinistico. Dal 2000 al 2007 sono stata vicepresidente dell’Ordine, qui a Pordenone, per poi passare in ambito triveneto dove, dopo 4 anni in consiglio, ne ho fatti altrettanti da presidente».
Il suo è stato quindi una sorta di ritorno in patria. Con quali motivazioni?
«Creare una coesione fra i colleghi e gestire i tempi nuovi con un lavoro di squadra che possa far crescere ciascuno, soprattutto alla luce delle nuove esigenze legate alle specializzazioni e alla formazione. Uno degli obiettivi che mi ero posta era, e resta, trovare e organizzare una sede dell’Ordine che possa diventare una “casa” per i professionisti. Un luogo dove potersi incontrare, riconoscere e beneficiare della condivisione di spazi e idee. Mi piacerebbe riuscirci entro la fine del mandato, a fine 2020. In tal senso, se ci sono proposte, in linea con i valori di mercato, siamo pronti ad ascoltarle».
Che evoluzione ha avuto la professione in generale e sul nostro territorio in particolare?
«In generale si è caricata di gran parte di adempimenti vissuti, dal cliente, come dovuti. Elaborazione contabile e gestione fiscale non danno un valore aggiunto effettivo riconosciuto da chi ci paga, ma sono per noi molto onerosi in termini di investimenti, perchè nel frattempo c’è stata un’evoluzione tecnologica che non ci consente di svolgere la professione senza un’adeguata struttura alle spalle. La crescita professionale oggi deve verificarsi nell’ambito di studi che, se non riescono ad associarsi, devono almeno mettersi in rete per condividere lo zoccolo duro dell’investimento e poterlo poi ammortizzare in maniera condivisa. Oggi come oggi un professionista che inizia da solo non ce la può fare. C’è disaffezione, da parte dei giovani, verso la professione perchè il nostro è diventato un mestiere estremamente impegnativo che richiede il sacrificio anche degli spazi personali e che non ha più un adeguato rispetto e un riconoscimento sociale proporzionato allo sforzo e all’impegno che la professione richiede».
E i clienti, sull’altro fronte, come sono cambiati?
«Dipende dalla tipologia. Le aziende, in questo periodo, hanno vissuto una crisi che le ha portate a contenere il più possibile i costi. E il commercialista è uno dei costi che viene messo sempre tra gli ultimi. Perché non puoi sospendere una fornitura di servizi al cliente che non ti paga una parcella, a meno che non lo faccia per anni. La nostra è una prestazione a carattere continuativo, soprattutto se si concentra sulla parte contabile e amministrativa. La consulenza di più alto livello, su operazioni straordinarie, ci consente di avere margini diversi, ma purtroppo non è accessibile a tutti e qui entra in gioco il passaggio sulle specializzazioni. La nostra professione tocca tutti gli aspetti, economico e sociale, societario, fallimentare, del diritto del lavoro. Abbiamo competenza su ogni area».
Lo sapete, sì, che c’è chi ritiene che esistiate, voi commercialisti, soltanto in forza della giungla normativa del nostro Paese, e che in fondo si starebbe molto meglio senza?
«Paradossalmente sarei anche d’accordo. Ma è proprio qui che sta il fraintendimento. L’equivoco deriva dal fatto che la nostra è stata trasformata in una categoria che assiste, peraltro senza esclusiva, negli adempimenti fiscali privati e aziende con una crescente complessità che rasenta la follia, costringendoci con gli ultimi provvedimenti (Isa) ad attuare scioperi mai prima d’oggi messi in campo. In realtà siamo nati come professionisti dell’economia, in grado di supportare le aziende nelle fasi fondamentali della loro crescita e del loro sviluppo. Ci troviamo, quindi, a svolgere attività in gran parte non gratificanti, anche per la complessità normativa, e a condividerle perdipiù con altri soggetti che non hanno le regole e i vincoli a cui sono sottoposti i nostri iscritti. La nostra categoria chiede oggi rispetto, soprattutto a seguito dell’ultima trovata dell’attuale governo, di cui nessuno si assume la responsabilità, di disporre un Daspo per i commercialisti che si prestino a compensare in modo fraudolento crediti fiscali e previdenziali».
Daspo che proprio non vi va giù, eh...
«È una cosa che non sta nè in cielo nè in terra. Una proposta che dimostra quanto lontana sia l’attuale classe governante rispetto alla realtà. Non sanno cos’è un Ordine professionale o probabilmente pensano che nella categoria dei commercialisti ci siano anche soggetti che tali non sono. Essere commercialisti significa essere iscritti a un Ordine e soggetti a una serie di regole, in primis deontologiche, a consigli di disciplina istituiti su nomina del presidente del tribunale, organismi molto seri che applicano, giustamente, provvedimenti all’occorrenza anche radicali nei confronti di chi non è deontologicamente e professionalmente corretto. Perchè se no a rimetterci è tutta la categoria. Il Daspo è una proposta che restituiamo al mittente perchè la nostra è una categoria che fino a oggi è stata di supporto al Paese, proprio in tutti gli adempimenti che lo Stato ha scaricato su di noi in tema di responsabilità e legalità».
Un progetto per il futuro?
«Allargare ai commercialisti il campo delle esecuzioni immobiliari, fino a oggi gestito in esclusiva da un’altra categoria professionale. Abbiamo formato colleghi proprio in questo campo».
C’è un buon grado di collaborazione con gli Odcec delle altre province del Friuli Venezia Giulia?
«La stiamo sviluppando. Il progetto Esifa, per esempio, è volto a sviluppare competenze, in sinergia con Regione Fvg, Presidenza del consiglio dei ministri e Comitato per la lotta contro le frodi, in ordine alla certificazione dei fondi strutturali europei. Stiamo poi per presentare il protocollo d’intesa con il Centro servizi volontariato (Csv) per un’attività di formazione che porti i colleghi a maturare esperienza specifica nel terzo settore, uno degli ambiti maggiormente rinnovati in questi anni, con il codice del terzo settore, entrato in vigore di recente».
In chiusura una buona ricetta per tempi sempre più difficili.
«La specializzazione, non c’è altra via. I colleghi devono decidere cosa vogliono fare. È finita l’epoca dei tuttologi. Servono competenze in rete, condivisione di strutture, fiducia e passione». —
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