Come mai il mare diventa arancione nel Golfo di Trieste? Il viaggio verso Muggia, inseguendo i repentini mutamenti dell’ecosistema
A bordo del gommone rigido dell’ Area Marina Protetta di Miramare, il ricercatore Saul Ciriaco osserva con lo stupore trattenuto dello scienziato il fenomeno colorato appena dopo Barcola

TRIESTE. Il mare diventa rosso a due miglia da Barcola. Improvvisamente navighiamo in una specie di serpentone vermiglio che si allunga a perdita d’occhio verso Muggia avvolgendo le sue spire attorno alle grandi navi alla fonda. Pensavamo che se ne fosse andata, che avesse lasciato il Golfo di Trieste per sparire chissà dove seguendo correnti o repentini mutamenti dell’ecosistema. E invece la marea rossa, o meglio arancio scuro, è ancora qui. Allineata lungo un fronte che da Trieste si espande verso il Golfo di Panzano, la fioritura rossastra ha solo compiuto una ritirata strategica, pronta ad avanzare di nuovo compatta verso la costa.
A bordo del gommone rigido dell’ Area Marina Protetta di Miramare, il ricercatore Saul Ciriaco osserva con lo stupore trattenuto dello scienziato il fenomeno colorato in cui stiamo flottando. Come altre decine di colleghi ricercatori, tecnici, biologi e oceanografi dell’Ogs, dell’Arpa, dell’Università di Trieste, insomma di tutti quegli enti impegnati ogni giorno a studiare, monitorare, curare e interrogare questo spicchio di mare in cima all’Adriatico, anche Saul Ciriaco non si allarma ma nemmeno si acquieta di fronte allo spettacolo stupefacente che danno le immense colonie di Noctiluca scintillans.
Questo prodigioso esserino, che di giorno colora il mare di rosso, e di notte lo rende scintillante di luce bluastra, al microscopio appare come un’inoffensiva pallina con la coda. Ma è tutt’altro che innocua. Si tratta di una dinoflagellata eterotrofica, vale a dire una specie di alga che non è un’alga, e quindi non si nutre di luce solare bensì di altri minuscoli esseri come diatomee, ciliati e uova di pesce impoverendo di fatto il mare. Da quando è comparsa nel nostro golfo, una decina di giorni fa, assieme ai branchi di Rhizostoma pulmo, le bianche meduse che da anni si danno convegno in queste acque a ogni inizio stagione, la Scintillans, come ormai la chiamano affettuosamente i ricercatori, ha fatto scattare l’ennesimo campanello d’allarme sulla salute del golfo.
Quando siamo partiti, qualche minuto fa, dal porticciolo di Grignano a bordo della barca dell’Area protetta di Miramare, per fare un giro di ricognizione intorno al golfo, il mare aveva l’aspetto pacioso di un’assolata domenica di primavera. Un po’ di meduse qua e là da sole o in gruppi pigramente assemblati, una leccia che saluta saltando davanti alla prua, un galleggiante di miticoltura alla deriva (recuperato), un po’ di ramaglie portate dai fiumi ingrossati dal disgelo. La minaccia rossa sembrava definitivamente sparita. Come succedeva con le immacolate nuvole di mucillagini, quei polimeri che nei mesi estivi di alcune stagioni fa hanno afflitto le nostre coste per poi svanire così com’erano apparsi. E invece no, le compagini di Scintillans sono solo poco più a largo, dense, compatte, avvolgenti e dal vago odore di sentina, pronte a sferrare l’attacco finale alle balneabili coste della nostra regione. O, forse, a sparire.
Di certo non scompare, però, il sintomo di un mare malato. Così come sulle terre emerse il Covid-19 colora e condiziona la nostra vita in un arco policromo che va dal bianco al rosso scuro, così in mare l’arancione denso è il segno di una Natura in affanno che si difende mandando all’attacco le sue speciali truppe invisibili. «La massiva fioritura di Scintillans - spiega Saul Ciriaco - è solo l’ultimo segnale di una serie di squilibri dell’ecosistema causati sia dai cambiamenti climatici sia dall’azione diretta dell’uomo». La lista è lunga. A cominciare dal rischio d’estinzione della Pinna nobilis, la popolare Stura, insidiata da un protozoo parassita che la sta facendo morire per inedia in tutto il Mediterrano.
Specie protetta, la Stura è stata attaccata dal nemico invisibile qualche anno fa nelle isole greche, e oggi rischia di estinguersi nonostante gli sforzi, compiuti anche nel nostro golfo dall’Amp Miramare e altri enti (è stata mobilitata persino una task force di sommozzatori della Guardia Costiera), per salvaguardare le sparute oasi dove ancora sopravvive.
Poi ci sono la scomparsa delle fanerogame, piante marine come Cimodocea e Posidonia, una perdita drammatica secondo i biologi. Ancora, dobbiamo fare i conti con la desertificazione delle foreste marine di alghe brune, e con la comparsa di specie aliene come Mnemiopsis leidyi, la noce di mare, piccola gelatina tanto simpatica con le sue lucine natalizie intermittenti quanto feroce nel divorare le larve di pesce azzurro. E che dire della - per ora - fugace apparizione di Drymonema dalmanitum, la medusa più grande del Mediterraneo, vista un anno fa mentre si pappava ben due polmoni di mare alla volta?
«Il punto è che da almeno una decina d’anni stiamo squilibrando sempre più il rapporto fra specie marine erbivore e carnivore, che altera l’intero ecosistema del golfo», commenta Saul Ciriaco mentre passiamo a venti nodi davanti alla costa fra Santa Croce e Aurisina. Proprio dove, fra pastini e boscosi pendii, fanno capolino i cantieri di nuove case e villette. Segni di un ulteriore impatto antropico, dicono gli esperti, che di certo al mare bene non fa.
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