«Citossi, eroe della Liberazione: San Giorgio gli dedichi una via»

SAN GIORGIO DI NOGARO. La straordinaria figura di Gelindo Citossi, conosciuto come “Romano il Manzìn”, fa ancora discutere: eroe o «esecutore spietato», per il Coordinamento antifascista friulano decisamente un eroe.
È stato ribadito in occasione della celebrazione del centenario della nascita, il 7 ottobre 1913, quando è stato ricordato il leggendario protagonista assieme agli altrettanto leggendari “Diavoli rossi”, di cui era il comandante, della Liberazione fascista in Friuli. Scatta, però, la polemica: il Coordinamento antifascista friulano “accusa” l’amministrazione comunale di San Giorgio di Nogaro di non aver ancora dedicato una via o una piazza a questo «eroico sangiorgino che tanto ha fatto per la “Liberazione”» e sfida il sindaco Pietro Del Frate a farlo.
Gelindo Citossi, sesto di nove figli, nasce a Zellina: è un ragazzo irrequieto, scappa spesso di casa e sta settimane senza andare a scuola. Lo definiscono ingenuo e idealista, testardo e determinato, uno che vuole sempre avere ragione, ma anche uno che non ama le ingiustizie.
È un bel ragazzo, sempre di buon umore e sempre pronto allo scherzo. Iniziano i conflitti del fascismo che gli portano via due fratelli, uno disperso in Russia e uno morto in combattimento in Grecia, e allora Gelindo simpatizzante della sinistra, ma con “fede” anarchica, fa il suo ingresso nella Resistenza prima in Carnia e poi con i Gap in pianura. Entra a far parte dell’Intendenza Montes, costituitasi dopo l’8 settembre 1943. E’ un uomo forte, eppur privo dell’uso di un braccio, entra nel battaglione di “Franz” che lo incarica di un’azione nella caserma della Guardia di finanza di Latisana, che conclude brillantemente disarmando sentinelle e militari di guardia, impossessandosi delle armi.
Tante le azioni compiute da Romano e dai suoi “Diavoli rossi”, ma la più leggendaria resta quella del temerario assalto alle carceri di Udine, a fine gennaio 1945, per liberare i patrioti condannati a morte o alla deportazione nei Lager tedeschi.
Partono in camion con i partigiani a bordo e alla periferia di Udine incocciano una colonna tedesca che procedeva nella stessa direzione. Romano riflette sul da farsi e improvvisa, non potendo attaccare la colonna: perché non accodarsi? Fa vestire gli uomini da tedeschi e il gruppo si accoda alla colonna. Giungono in città e mentre i tedeschi entrano alla “Spaccamela” loro si dirigono in via Spalato.
Alle 18.30 sono davanti all’ingresso delle carceri, dal camion scende un partigiano vestito da capitano nazista, bussa al portone spiegando che ha dei “banditi” da consegnare: uno è Romano e l’altro è Ape. Le guardie aprono e i Diavoli con il Mancino entrano, si fanno consegnare le chiavi e liberano un’ottantina di prigionieri, poi si danno a una fuga avventurosa irta di pericoli, ma ce la fanno.
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