Cassa integrazione al “Città di Udine”: la sanità pubblica cerca aiuto ma il privato manda a casa medici e infermieri

A Casa in 210 su 270. L’ad del Policlinico, Riccobon: «Ci avevano chiesto 50 letti, poi l’Azienda sanitaria ha fatto un passo indietro»

UDINE. Il Policlinico Casa di cura Città di Udine mette in cassa integrazione medici, infermieri e operatori proprio nel momento in cui l’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale è alla disperata ricerca di personale da assumere per far fronte all’emergenza Covid-19.

Dopo aver fatto smaltire ai dipendenti permessi e ferie, la governance della Casa di cura (privata e convenzione con il servizio pubblico) da ieri ha attivato il fondo di integrazione salariale lasciando a casa 210 dei 270 dipendenti.

Una decisione lecita, visto il calo di lavoro delle ultime settimane, che stride però con l’emergenza sanitaria in corso. E proprio questo ha fatto nascere un duro botta e risposta a distanza tra i vertici del Policlinico e quelli dell’Asu Fc: se i primi lamentano il fatto di aver messo a disposizione inutilmente 50 posti letto per pazienti “no Covid” – «dopo una richiesta pervenuta dalla stessa Azienda sanitaria» –, i secondi accusano la struttura privata di non aver mai consegnato le liste con i nominativi dei dipendenti da poter schierare nella lotta al virus.

L’ospedale: «Esterrefatti: quei professionisti servivano qui»


L’amministratore delegato della clinica di viale Venezia, Claudio Riccobon, spiega: «Come previsto dalle ordinanze regionali, a partire dal 10 marzo siamo rimasti operativi soltanto per le prestazioni indifferibili (per esempio le urgenze oncologiche), oppure per prestazioni ambulatoriali con priorità B (breve). In questo scenario c’è stato un calo immediato di tutta una serie di attività. Quindi abbiamo continuato a mantenere funzionanti solamente la dialisi, l’oncologia e una parte di chirurgia, cardiologia e radiologia. Da qui la decisione di mettere in ferie gran parte del personale e di attivare il fondo di integrazione salariale fino al termine dell’emergenza. A tal proposito siamo al lavoro per riuscire a coprire con uno stanziamento di fondi propri parte della percentuale di stipendio non coperta dal fondo».

Non prima, però, di aver risposto a una richiesta giunta dall’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale, con la disponibilità di 50 posti letto di medicina per i pazienti non contagiati dal coronavirus: «Nella confusione che c’è nell’Azienda sanitaria – attacca Riccobon – nonostante ci fossimo già organizzati in tal senso, abbiamo registrato un passo indietro. Siamo un’azienda privata, e a quel punto ci siamo mossi di conseguenza limitando la nostra attività».

Il Policlinico era pronto a dare man forte al Santa Maria della Misericordia, “liberandolo” da quei pazienti non coinvolti nell’emergenza Covid-19 e consentendo così al personale ospedaliero di concentrare tutte le forze sul fronte coronavirus.

Ma qualcosa, sul fronte della comunicazione, non è andato a buon fine, a tal punto che oggi i dipendenti messi in cassa integrazione non nascondono una certa frustrazione. Medici e infermieri sanitari costretti a restare a casa senza fare nulla in un momento in cui il Paese (Friuli Venezia Giulia compreso) ha un estremo bisogno di personale sanitario.

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