Caso Unabomber, la crociata di Zornitta

«Finché Ezio Zernar vivrà, senza saldare la cifra che è stato condannato a pagare in via definitiva, io lo perseguirò». Parola dell’avvocato Maurizio Paniz, il difensore dell’ingegnere Elvo Zornitta, residente ad Azzano Decimo, sospettato (poi definitivamente scagionato da quell’ombra) di essere stato il misterioso e mai scovato Unabomber, il bombarolo che terrorizzò mezzo Nordest con una serie di attentati in luoghi pubblici tra il 1994 e il 2006.
Ora Zernar, ancora in servizio in Polizia, rischia di pignoramento di un quinto dello stipendio: lo deciderà il giudice dell’esecuzione del tribunale di Padova, Giuseppe Primicerio, nell’udienza fissata per il prossimo 9 maggio.
Zornitta batte cassa per recuperare i circa 200 mila euro che gli spettano dal vice-sovrintendente di polizia, accusato (e condannato) per aver tagliato ad arte, con un paio di forbici sequestrate al sospettato numero uno, una parte infinitesimale di un lamierino in ottone di un ordigno inesploso trovato il 2 aprile del 2004.
L’obiettivo? Incastrare l’ingegnere di Azzano Decimo, colui che gli inquirenti ritenevano Unabomber, l’incubo delle forze dell’ordine. Ma da tempo Zernar risulta nullatenente: non è proprietario di alcun bene, nemmeno la casa in cui vive a Piove di Sacco in provincia di Padova. E Zornitta, tutelato sempre dal legale bellunese, ha citato di fronte al giudice anche il Ministero dell’Interno – datore di lavoro di Zernar tuttora in servizio – per il deposito della busta-paga, l’estratto conto del suo stipendio indispensabile per calcolare il quinto destinato alla cessione a favore dell’ingegnere.
Uno dei grandi misteri italiani irrisolti quello di Unabomber. Nessun colpevole e un poliziotto (a suo tempo responsabile del Lic, Laboratorio scientifico di indagini criminalistiche di Venezia) bollato “in nome del popolo italiano” come il fabbricatore di prove false, dopo l’ultima e definitiva condanna a 2 anni con la sospensione condizionale e le statuizioni civili (100 mila euro di risarcimento con interessi e spese legali per un totale di 200 mila a favore dell’ingegnere) pronunciata della Corte di Cassazione il 5 novembre 2014. Una condanna per frode processuale e alterazione di corpo di reato (un reperto manomesso per farlo diventare la “prova regina” contro Zornitta) che conferma quella emessa il 4 giugno 2013 dalla Corte d’appello di Venezia, in sede di appello-bis.
L’incubo di Zornitta comincia nel 2004, con la perquisizione nella sua abitazione: alcuni oggetti sequestrati, le sue competenze e i suoi spostamenti compatibili con il profilo di Unabomber. Sono indizi, non prove. Ecco che nel 2006 salta fuori la “prova schiacciante”: la compatibilità tra le lame di un paio di forbici sequestrate a Zornitta con i tagli sul lamierino dell’ordigno piazzato dal mostro nella chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro piazzato il 2 aprile 2004. Una prova truccata, smascherata dall’avvocato Paniz che nel 2009 ottiene l’archiviazione del procedimento penale a carico di Zornitta. E l’incriminazione di Zernar, oggi chiamato a saldare il conto economico lasciato in eredità dalla sua condanna.
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