Case ai figli per dribblare il Fisco, i fratelli Clocchiatti a processo

UDINE. Tutti i loro beni in “dote” ai figli, per impedire al Fisco il recupero dei debiti accumulati nel tempo dalla società di cui erano gli amministratori, la “Clocchiatti Tobia” spa di Povoletto, impresa di costruzioni in concordato preventivo dal 2011.
È l’accusa dalla quale Claudio Clocchiatti, 70 anni, e sua sorella Lorena, 64, entrambi residenti a Torreano di Martignacco, dovranno difendersi nel processo al via dal 7 febbraio 2017.
Il decreto di rinvio a giudizio per l’ipotesi di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è stato disposto ieri, al termine dell’udienza preliminare celebrata davanti al gup Matteo Carlisi.
Nell’inchiesta coordinata dal pm Luca Olivotto, il Nucleo di polizia tributaria di Udine aveva contestato a Claudio Clocchiatti, dapprima in qualità di vice presidente del cda e, dal giugno 2012, quale amministratore unico della società, due atti di disposizione a titolo gratuito di beni propri per un valore complessivo di 537.144 euro.
Con il primo, risalente all’11 giugno 2010, aveva donato ai due suoi figli la proprietà di due abitazioni, tre autorimesse e un negozio a Lignano Sabbiadoro, mentre con la successiva donazione, formalizzata l’11 maggio 2012, aveva passato loro per intero la sua quota di partecipazione nella “Rialto srl” (pari al 10 per cento del capitale sociale, per nominali 1.144 euro).
Altrettanto dicasi per Lorena Clocchiatti, chiamata in causa nelle sue vesti di consigliere d’amministrazione. L’operazione finita nel mirino degli investigatori, nel suo caso, è soltanto una ed era stata sottoscritta davanti al notaio lo stesso 11 giugno di sei anni fa, in cui Claudio si “spogliava” della propria parte di patrimonio.
I beni immobili ceduti dalla sorella alla figlia sono stati quattro, per un valore complessivo di 239 mila euro: un’abitazione con autorimessa a Lignano e un’altra abitazione pure con autorimessa a Ravascletto.
Secondo il pubblico ministero, ciascuna delle disposizioni sarebbe stata compiuta nella consapevolezza di rendere «in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva dei debiti della società nei confronti dell’Erario e della stessa spa, come co-obbligata solidale», in presenza di debiti tributari calcolati in quasi 2,5 milioni di euro, tra il 2008 e il 2013.
Tutt’altra la lettura dei fatti che i rispettivi difensori intendono proporre a dibattimento.
«Quelli ceduti ai figli sono beni personali, che nulla c’entrano con i beni dell’azienda – ha osservato l’avvocato Mattia Nicolì, che nel procedimento assiste Claudio Clocchiatti –. Qui, invece, si parte proprio dalla pretesa che gli amministratori siano solidalmente responsabili nel pagamento delle imposte».
Il ragionamento dell’avvocato Paolo Viezzi, difensore di Lorena Clocchiatti, muove da una considerazione a “monte”.
«Nel 2011 – ricorda –, la Clocchiatti è stata ammessa dal tribunale al concordato preventivo con un piano che prevedeva il pagamento al cento per cento dei creditori privilegiati, a partire dall’Erario. Quindi, se questo significa che il debito tributario sarà soddisfatto, a mancare è il presupposto stesso dell’ipotesi di reato contestata».
La formula all’epoca scelta dal colosso edilizio per evitare il fallimento e salvare così il posto di lavoro dei suoi 77 dipendenti era stata quella della concessione dei beni: a fronte di una situazione debitoria di 11 milioni di euro, l’azienda contava su un patrimonio immobiliare del valore di 16 milioni.
Da allora, la Clocchiatti ha già collezionato due importanti vittorie giudiziarie: nel 2013, aveva ottenuto un rimborso di oltre 430 mila euro dalla Banca popolare di Verona e, lo scorso marzo, ulteriori 1,2 milioni di euro di risarcimento dalla Banca nazionale del Lavoro. Tutti soldi impiegati appunto per soddisfare i creditori.
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