Camionista friulano nell’inferno del traghetto: «Salvo per miracolo»

L’ultima chiamata: «Ho freddo e sono bagnato, non ce la faccio più». La famiglia ha scoperto che era sopravvissuto da una foto dei soccorsi

SESTO AL REGHENA. «Ho freddo...sono tutto bagnato, non ce la faccio più, non resisto». Le parole pronunciate con voce stanca, impaurita, dopo molte ore di attesa, Zoran Koron le ha sussurrate al telefono, alle 4.50 di lunedì mattina. Poi più nulla e anche a Sesto al Reghena, alla Gruarin autotrasporti, la sua seconda casa, la preoccupazione è diventata paura. Inghiottito dal buio, dal mare e dal blackout delle comunicazioni, il naufrago è “riemerso” solo grazie a una foto, diffusa dal sito internet della Marina militare, uno scatto che lo ritrae tra i salvati. Tra quanti potranno raccontare una notte che non avrebbero mai voluto vivere.

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Zoran, 42 anni, una moglie e due figli, un lavoro da autista di camion per la Gruarin autotrasporti, è uno dei 478 passeggeri del traghetto Norman Atlantic partito sabato notte da Patrasso, in Grecia. «Lui come tutti i nostri autisti – racconta Simone Gruarin, titolare dell’omonima ditta e voce di Zoran in tante ore di paura e angoscia – fa spesso quella tratta. In media una volta la settimana. Doveva trasportare dei peperoni dalla Grecia a Zagabria».

La notte dell’incendio la chiamata è arrivata quasi subito. «Attorno alle 5 la prima chiamata. Era abbastanza tranquillo. “C’é stato un incendio Simone, considera di avere un camion in meno” mi ha subito detto». Le comunicazioni si sono mostrate subito difficili. «Cercava di centellinare la batteria del telefono, quando c’era un po’ di campo mi chiamava».

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La seconda chiamata alle 8, poche ore dopo ma infinite per chi a quel punto aveva il rimando di quel che era accaduto dai media nazionali. «Lui era ancora calmo, mi ha spiegato che era sul ponte, vicino al capitano, che la situazione sembrava sotto controllo nonostante le fiamme e la paura generale». Non è chiaro se ci fosse già la consapevolezza in lui che qualcuno non sarebbe più sceso dal traghetto.

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L’ultima telefonata che dava l’idea che la situazione potesse evolversi in positivo risale alle 16 di domenica «un breve contatto, in cui mi ha riferito che lui stava bene, nulla di più». Poi la chiamata poco prima delle 5 di lunedì mattina. «Era avvilitissimo, zuppo d’acqua, stanchissimo. Mi ha detto che non ce la faceva più, che non sapeva se sarebbe riuscito a resistere». Poi più nulla.

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Per Simone Gruarin l’angoscia è diventata doppia perché in questa notte senza fine è stato lui il tramite tra Zoran e la sua famiglia (la moglie Tania e i due figli) che vive a Miren, in Slovenia. Ore passate tra il telefono – «abbiamo chiamato un sacco di volte il numero messo a disposizione, ma non era facile comunicare: ci sono riuscito una decina di volte» – e il computer. «Alle 10 di mattina, dopo ore di silenzio, ho visto sul sito della Marina militare una foto che ritraeva alcune persone soccorse. Quello in mezzo, con il cappuccio, mi pareva lui. Ma non ero sicuro e ho mandato la foto alla moglie che l’ha riconosciuto». Un primo sospiro di sollievo. «È salvo per miracolo».

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La certezza è arrivata solo alle 14.30, «quando al numero della Marina ci è stato confermato che era nella lista dei sopravvissuti. Sappiamo che è stato portato sulla San Giorgio, ma non sappiamo nulla sulle sue condizioni». Gruarin ha provato a chiamare anche ieri sera «però il cellulare non è raggiungibile. Per ora dobbiamo accontentarci di quello che ci hanno detto, sperare che sia in buone condizioni di salute». Il peggio sembra passato, anche se resta l’apprensione dettata dal fatto di non aver ancora potuto sentire la voce di Zoran, le sue rassicurazioni. «La nostra è un’azienda piccola, siamo una dozzina di persone per cui ogni dipendente è parte della famiglia – spiega –. Speriamo che stia bene. Speriamo che l’incubo sia terminato».

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