Bimbo morto dopo il parto, riaperto il caso

LATISANA. Fare chiarezza sulla morte di Nicolò Mauro Giussani Sarcone, il bambino deceduto tra il 15 e il 16 novembre del 2006, pochi minuti dopo essere venuto alla luce, all’ospedale di Latisana, e accertare in tal modo, per la terza volta davanti a un tribunale, l’esistenza di eventuali responsabilità a carico della ginecologa che quella notte si trovava nella sala parto.
Questo avevano chiesto i genitori del neonato, nel ricorso presentato dal loro legale contro la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Trieste aveva assolto la ginecologa, e questo ha deciso la IV sezione della Corte di Cassazione, accogliendone la domanda e rinviando gli atti per un nuovo esame alla sezione civile della stessa Corte d’Appello.
A nove anni dall’avvio dell’inchiesta della Procura di Udine a carico di Luisa Uras, 48 anni, di Portogruaro, condannata in primo grado per omicidio colposo a 1 anno e 8 mesi di reclusione e assolta in secondo grado con la formula «perchè il fatto non sussiste», gli “ermellini” hanno dunque deciso la riapertura del caso.
Tutto da rifare, insomma, anche se ai soli effetti civili, visto che la pronuncia di assoluzione in grado d’appello non è impugnabile dalla parte civile e che, non avendovi provveduto la Procura generale, nel frattempo sul piano penale è diventata definitiva.
Decisi a fare valere comunque le loro ragioni e ottenere giustizia, dopo l’assoluzione i genitori Donato Giussani Sarcone e Samantha Palma, di Lignano, si erano rivolti all’avvocato Lorenzo Cudini, subentrato come legale di parte civile ai colleghi che lo avevano preceduto, per valutare gli eventuali rimedi contro quel verdetto.
Si era così arrivati alla proposta di ricorso alla Suprema Corte, per la sola parte relativa alle responsabilità civili. «In appello, i periti hanno fornito risposte contraddittorie, evasive e non sufficientemente motivate – aveva lamentato l’avvocato Cudini –. La sentenza che ne è derivata, quindi, risulta affetta da vizio nelle motivazioni».
Ribaltando il giudizio della Corte triestina, la Cassazione rimette dunque in discussione gli aspetti risarcitori. Quando, il 20 luglio del 2011, il giudice monocratico del tribunale di Udine, Carla Missera, aveva dichiarato la colpevolezza della ginecologa, l’aveva anche condannata, in solido con la responsabile civile Ass n.5 “Bassa Friulana”, a pagare i danni morali ai genitori, rinviando la quantificazione al giudice civile, ma concedendo una provvisionale di complessivi 320 mila euro (160 mila alla madre e altrettanti al padre).
Poi, il 18 marzo del 2014, riconoscendo l’innocenza dell’imputata, il collegio triestino presieduto da Piervalerio Reinotti aveva revocato le statuizioni civili che l’Azienda sanitaria aveva nel frattempo versato alle parti civili.
Azzerato ogni giudizio, ora a pronunciare l’ultima parola saranno i colleghi della sezione civile. Con ogni probabilità, alla prima udienza del nuovo procedimento la Corte nominerà un altro perito, incaricato a sua volta di verificare la fondatezza delle accuse contestate al medico.
A risultare fatale, secondo la ricostruzione a suo tempo formulata dal pm Barbara Loffredo, era stata la scelta di non procedere a un parto cesareo, nonostante le avvisaglie derivanti principalmente dal tracciato del monitoraggio cardiografico del feto.
Tracciato che avrebbe segnalato «una situazione fetale non rassicurante già dalle 22» e «una situazione di sofferenza fetale patologica dalla mezzanotte». Nicolò nacque alle 2.02, ma morì subito dopo «per ipossia acuta grave in corso di travaglio».
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