Battisti, quando il terrorismo arrivò a Udine. Quel risveglio scioccante nella provincia cresciuta tra il silenzio e il lavoro

Cosa furono in Italia gli “anni di piombo”, cominciati con la strage di piazza Fontana nel dicembre 1969 e arrivati al capolinea con il crollo delle Brigate rosse nel 1982? Difficile far capire com’era l’angoscia che afferrava alla gola ascoltando i giornali radio che dettavano il primo bollettino di guerra tra uccisioni, azzoppamenti, assalti. L’anno più terribile fu il 1978 con quaranta morti, a cominciare da Aldo Moro, il presidente del consiglio assassinato dopo circa due mesi di sequestro.
Unico caso al mondo di tale devastante gravità, eppure l’Italia reagì e resistette. E, per sapere come, è utile rileggere un libro dimenticato di Alberto Arbasino. Si intitola “In questo Stato” e spiega fantasmi, paranoie e autodifese di un popolo incredibile, vulnerabile e forte.
Fra quelle vittime c’era il maresciallo Antonio Santoro, comandante delle guardie carcerarie di Udine, caduto in un agguato sulla porta di casa che confinava con l’istituto penitenziario in via Spalato: una mattina di sole, il 6 giugno 1978, a nemmeno un mese dall’uccisione di Moro mentre il Friuli si considerava al riparo dalla follia terroristica dovendo ricostruire i paesi distrutti due anni prima dal terremoto. Lo Stato, stretto alla gola dalla crisi economica e dall’eversione, decise di delegare tutto assicurando le risorse necessarie, tratte da un drastico aumento nel prezzo della benzina. Aveva insomma detto: «Fate da soli perché noi siamo nei guai».
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Fu un risveglio scioccante quel 6 giugno quando si scoprì che incombeva anche qui l’incubo del terrore. Il Messaggero Veneto diretto da Vittorino Meloni avvertì a piena pagina: «Il terrorismo arriva a Udine. La vita operosa del Friuli turbata da un attentato senza precedenti». E l’articolo di fondo del direttore, vinto il primo momento di panico, delineò un nuovo fronte per tutti sotto il titolo: «La capacità di resistere».
Più tardi, negli anni Ottanta, grazie al racconto di ex compagni e complici, fu possibile sapere chi formava il commando dei quattro assassini, tra i quali una ragazza. A sparare, dissero i pentiti, era stato Cesare Battisti, che aveva conosciuto Santoro tempo prima essendo in carcere a Udine per rapine e reati comuni. Dietro le sbarre aveva conosciuto Arrigo Cavallina, ideologo dei Pac (Proletari armati per il comunismo) e così era cominciata la sua politicizzazione. Una volta usciti, scelsero come obiettivo il maresciallo, seguendo gerarchie e piani dissennati, allora abituali tra sigle e schegge impazzite. Forse una vendetta contro il maresciallo.
Non fu questo comunque l’esordio tragico del terrorismo a casa nostra. L’eversione nera aveva già causato nel 1972 l’attentato di Peteano con tre carabinieri uccisi e poi il fallito dirottamento aereo di Ronchi, con sparatoria e morte di un estremista di destra. La resa di conti definitiva con gli “anni di piombo” avvenne in Friuli nel 1982 quando vennero sgominate le Br e si capì che le nostre zone erano state usate come retrovia rispetto ai luoghi più sensibili e operativi (in una soffitta di Tarcento venne ucciso l’ingegner Taliercio, rapito a Marghera).
Quasi una strategia per non attirare qui troppo l’attenzione, violata dal vile agguato compiuto da Battisti, che poi si concesse una settimana di vacanza a Grado.
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