Antonio Pitter, l’ingegnere che portò la luce a Nordest
Esce un libro sul professionista che sviluppò la rete dell’energia elettrica Il pronipote avvocato Pompeo ha ricostruito le opere e l’ambiente in cui visse

Pordenone gli ha dedicato una via, a Roraigrande, dove nacque, nel 1867. Ma ben altro effetto fa il suo nome – Antonio Pitter – sulla facciata della maestosa centrale idroelettrica di Malnisio, oggi riconvertita in museo e immaginario scientifico. Gliela intitolarono nel 1938, due anni dopo la morte, riconoscenti non solo perché l’ingegnere diresse i lavori per la parte elettrotecnica, ma in omaggio a un uomo che amava il progresso, al quale offrì un consistente contributo. Un professionista ai vertici del mondo industriale, un amministratore stimato, ma anche un uomo semplice, che rifuggì da ogni manifestazione esteriore di lusso, generoso, pronto ad aiutare chi si trovava in difficoltà. «Un uomo in cui l’onestà aveva radici antiche e profonde», disse l’ingegner Ottaviano Ghetti all’intitolazione della centrale. Anche sulla sua umanità, sul suo stretto legame con la famiglia, il contesto sociale, la terra d’origine, insiste il libro “L’ingegner Antonio Pitter. La sua vita, la sua famiglia, l’ambiente in cui è vissuto” (edizioni L’Omino Rosso) che sarà presentato oggi, alle 18, nella biblioteca di Pordenone, con un dialogo fra Gianni Zanolin e l’autore, Pompeo Pitter. Che dell’ingegnere era pronipote. E che non ha ricordi diretti dell’illustre prozio (fratello di suo nonno), perché quando Antonio morì Pompeo – oggi stimato avvocato, autore di varie pubblicazioni, alcuni libri e con diversi incarichi in associazioni culturali – aveva soltanto sei mesi.
Ma la figura dello zio, così significativa per i Pitter, ha accompagnato tutta la sua vita. E da appassionato di ricerca storica qual è, dopo essersi documentato in archivi pubblici e privati, ha deciso di dedicare un libro all’ingegnere, a 150 anni dalla nascita: 175 pagine dense di racconti, particolari, personaggi. Che ricostruiscono la vita di Antonio e ci fanno scoprire che suo padre, Silvio, direttore di una fabbrica tessile e architetto, progettò l’attuale duomo di Porcia. Che se riuscì a laurearsi (studiò al Politecnico di Milano), fu anche grazie al conte Nicolò Papadopoli Aldobrandini (lo aiutò dopo che era rimasto orfano di padre). Che condivise l’avventura della centrale di Malnisio – costruita fra il 1900 e il 1905 – con suo cognato (marito della sorella), Aristide Zenari, figura altrettanto illustre nel mondo dell’energia elettrica. E dunque che Silvia Zenari, botanica e geologa alla quale è intitolato il museo di scienze naturali di Pordenone, era sua nipote (Antonio non si sposò e non ebbe figli). E che negli anni della sua brillante carriera (34 anni nel gruppo Sade) incontrò diversi personaggi illustri, in visita al suo vero capolavoro, il colossale impianto idroelettrico di Santa Croce di Fadalto che permise di irrigare 40 mila ettari di terreno a sinistra del Piave: da Mussolini, neo presidente del Consiglio, al re Fuad dell’Egitto o il duca D’Aosta, Amedeo di Savoia. Antonio Pitter morì il 29 febbraio 1936 nella sua casa di Venezia. Lasciò scritto «funerali di semplice austerità». Ma la sua fama e la stima di cui godeva portarono a Pordenone una folla, il 2 marzo. Un sentito omaggio all’uomo cui si doveva, in gran parte, lo sviluppo dell’energia elettrica nel Nordest.
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