Anita Kravos: «La grande bellezza è da Oscar»

Impossibile scordarla. Sorrentino le chiese di osare e lei non ci pensò un solo minuto. Nessun costume di scena per la Talia Concept di Anita Kravos; l’installazione è provocatoria nel suo nudo d’arte, lei stessa rappresentazione, prodotto finale, pittura, scultura in un solo magnifico corpo.
Nella Roma decadente La grande bellezza resta immutabile mentre osserva il declino umano, la nuova pseudo intellighenzia delle terrazze capitoline offre il dialogo annoiato di chi vive di anoressia culturale, facciate ricche per animi depressi. «Con Gep Gambardella (il solito gigante Servillo, ndr) - ricorda l’attrice goriziana - si fa serio un ragionare sul senso del bello e su quel ripararsi dietro una strategica solitudine. Per posa, soprattutto. Guai se invece io non avessi beneficiato dell’altrui calore, professionalmente e spiritualmente. Quando fui candidata al Ciak d’oro per la mia interpretazione in Alza la testa con Castellitto, trovai sostegni anche da alcuni critici, al solito più silenziosi che generosi di consigli».
La grande bellezza si prepara ora alla prova mondo con già un viaggio anglofono trionfale. Incassi record a Londra e targa ai British Indipendent Film Awards. Aggiungiamoci volentieri le candidature ai Golden Globes e la possibile conquista della cinquina da Oscar. Eppure nel Paese d’origine qualche ola sporadica, esaltazioni minime, alcuni sgambetti.
Opera molto felliniana nello spirito evocativo, sogno e bruschi risvegli, il giornalista Servillo che ricalca quello di Mastroianni, cronisti del superfluo in rotazione continua nei luoghi del rumore. Musica sensibile, corale perlopiù, che sa esplodere nel sound della Carrà formato disco. E c’è convivenza, come fra i due universitari in perfetta sintonia condominiale.
Aggiunge Anita: «Anche l’Italia lo ha amato, credo questo. Le prove? I quattro nastri d’argento e il recentissimo sfavillante Ciak, in condominio con il Django di Tarantino. Confido nell’esplosione internazionale. Tra l’altro in America sta andando fortissimo. C’era da aspettarselo. Gli stranieri lo trovano rappresentativo di un’epoca italiana in esaurimento, l’accidia di Gambardella, che a noi sembra tutta napoletana o romana, in realtà per loro è tipicamente tricolore. Piacciamo in giro, è una certezza, nonostante siamo quel che siamo e spesso l’immagine non è così a fuoco. Però...».
Cannes non si è sprecata in baciamano, anzi. Il festival ha fatto finta di niente. Conoscendo vizi e virtù oltreOceano, almeno tra i cinque eletti Oscar ’sto film dovrebbe entrare. «Io ci spero e dico di più, ne sono convinta - dice la Kravos - e poi il tanto acclamato made in Italy non si fa onore dal 1999, ricordiamocelo. Dai, sarà questo l’anno della seconda rivoluzione».
L’Academy ci schiererà contro settantacinque pellicole, dall’Albania al Venezuela. Settanta saranno riposte nello scatolone del ritorno. Ma è inutile sprecare fiato adesso, il 16 gennaio sarà tutto chiaro.
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