Addio a Melilla, donati gli organi

Udine, l’ex Snaidero e allenatore non ce l’ha fatta. Aveva 71 anni. Lascia due figlie

UDINE. Ha perso la partita, ma all’overtime dopo aver lottato come un leone, come in campo e su una panchina aveva fatto per anni.

Nel pomeriggio è morto all’ospedale di Udine, dove era ricoverato da una settimana, Giulio Melilla ex giocatore e allenatore, gloria del basket italiano e amatissimo a Udine e Pordenone, città che aveva scoperto e conquistato per oltre quarantanni.

Un amore ricambiato, basta vedere le attestazioni si affetto e stima arrivate sul sito web del nostro giornale da quando si era diffusa la notizia dell’emorragia cerebrale che lo aveva colpito.

Melilla aveva 71 anni. Lascia le figlie Cristina e Barbara, che per prima cosa hanno ringraziato tutti per gli attestati di affetto nei confronti del padre. «Abbiamo deciso di donare gli organi di Giulio per dare un seguito alla sua profonda umanità», queste le parole della famiglia, che ben presto aveva compreso come il malore non avesse lasciato scampo a coach Giulio.

«Giulio Melilla in campo gridava “Forza ragazzi!” e l’entusiasmo volava»
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Una vita la sua corsa a cento allora, nel segno di una grande vitalità che era contagiosa. E, soprattutto, nel segno di uno sport che l’aveva rapito da piccolo nei campetti di Ortona. Nato a San Severo in Puglia nel dicembre 1944, ma solo perché la famiglia si era rifugiata più a sud durante la guerra, dalla città abruzzese Melilla alla metà degli anni Sessanta aveva iniziato la sua marcia di avvicinamento al Friuli.

Lui e la sua pallacanestro. Il talento non gli mancava, con esso la forza di volontà, il carattere. Roma e poi Varese nella stagione 1967/1968, proprio quella in cui l’Ignis del cavalier Borghi si stava preparando a entrare nel mito. Con lui un altro giovane dal talento smisurato: Dino Meneghin. Il monumento del basket italiano ieri ha voluto manifestare tutto il cordoglio alla famiglia di Melilla.

«Mi dispiace tantissimo, se ne va uno dei più grandi giocatori della storia del nostro basket. Abbiamo giocato solo una stagione a Varese – ricorda super Dino –, ma sono bastati quei pochi mesi a porre le fondamenta per un’amicizia che poi è durata vita la vita. Giulio era gioviale, pieno di vita...e aveva un gran talento».

«Giulio Melilla? Uno sportivo vero, divertente e pieno di grinta»
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In campo? Meneghin va subito al sodo: «Play guardia, gran tiratore e quando c’era da passare la palla ai lunghi come me, non si faceva problemi. Ci siamo affrontati per anni sui campi della serie A, poi è diventato anche un bravissimo allenatore. Negli ultimi anni ha sempre accettato con entusiasmo di partecipare al camp per ragazzi che organizzo a Domegge».

Aneddoti? Uno, bellissimo. «Aveva il culto del fisico e della preparazione atletica – ricorda – Meneghin – con le due dita si toccava sempre i bicipiti o i muscoli del gambe per verificare la sua condizione... E ovviamente quando ci incontravamo anche negli ultimi tempi facevo lo stesso appena lo vedevo».

Poi un canestro, l’ultimo, appoggiato al tabellone: «Anche se lo vedevo una volta l’anno era come se lo incontrassi ogni giorno, Giulio era un vero amico», chiude Meneghin, che nella decisione dei familiari di donare gli organi vede «un gesto perfetto per tramandare la grande umanità di coach Giulio».

Dopo l’Ignis, nella “trade” che portò Lino Paschini a Varese, Melila piombò alla Snaidero nel 1968. Promozione in A1 e sette anni d’oro con la mitica squadra di Joe Allen. Pure la convocazione in Nazionale. Giulio Melilla era la mente di quella squadra, il cuore, la forza fisica, il talento.

Quelli sono stati gli anni mitici del basket udinese, quando gli arancione del cavalier Edi si sono seduti alla mensa delle metropoli del basket... Milano, Varese, Cantù, Bologna. Ecco perché per gli udinesi, “figli” di quell’epoca di palla a spicchi e gloria, Melilla è uno di quegli eroi.

«Voglio tornare nel grande basket», ti diceva e e magari ti parlava di quel tale ragazzetto che stava allenando in un campetto all’aperto e che prometteva bene.

Sì, il basket era la sua vita, e il basket gli mancava. La panchina gli mancava, tanto che un anno fa aveva deciso di sposare la causa della Cbu in serie D impegnata nei play off. Lui, che aveva mandato a canestro con un assist Meneghin, Bisson, Allen centinaia di volte, un consiglio o una bacchettata a qualche giovane talento non la negava mai.

«Giulio Melilla ha fatto la storia del basket regionale – ricorda il presidente della Fip, Fvg Giovanni Adami – ha scritto pagine indelebili della storia della Snaidero e di Pordenone, la sua vitalità e la sua umanità contagiavano tutti. Ci mancherà».

Stava scadendo il tempo, l’overtime stava finendo. La partita era persa, ma domenica sera dal mondo del basket udinese, in quel Marangoni che era stata la sua casa per quasi un decennio, è arrivato l’omaggio più bello: lo striscione “Giulio nel cuore” dedicato dai tifosi della Gsa al coach. Quello della vita corsa a cento allora e della partita persa. Ma soltanto al supplementare.

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