Sensini: «Questa Udinese non è inferiore al Verona: vedrete, lo dimostrerà»

L’argentino, in visita al Messaggero Veneto, sfoglia l’album dei ricordi con momenti belli e brutti. «Che ferita l’eliminazione col Barcellona: potevamo entrare tra le prime 16 squadre d’Europa» 

Nestor Sensini è in visita “pastorale” a Udine. Lungi da noi voler mescolare il sacro col profano, ma le visite di Nestor sono davvero una bella abitudine che dimostra come il legame con il Friuli sia qualcosa di forte e intenso. Anche perché l’Argentina, casa sua, non è esattamente dietro l’angolo. Ad accompagnarlo in redazione, il figlio Federico, classe ’99, che frequentò la prima elementare a Pagnacco. Per far scattare l’intervista basta mettersi davanti al computer e andare all’archivio delle fotografie.

Nestor, partiamo da una serata triste: 7 dicembre, Udinese-Barcellona 0-2.

«Avevamo la possibilità di entrare tra le prime 16 squadre d’Europa, un traguardo impensabile. Avevamo concentrato tutte le nostre attenzioni su quella gara, fu una delusione enorme. Ci bastava lo 0-0 per qualificarsi, poi entrò un ragazzino di nome Iniesta e lì sfumò l’illusione nostra e della gente».

L’emozione più forte da calciatore dell’Udinese?

«I tre anni sotto la gestione di Spalletti sono stati splendidi. Io ricordo con grande piacere anche il gol nel derby con la Triestina al Grezar, la promozione in serie A all’ultima giornata ad Ancona con i gol di Dell’Anno e Manicone e la salvezza allo spareggio di Bologna con il Brescia».

Il primo impatto con Spalletti?

«Mi chiese subito se ero tornato a Udine per giocare o fare vacanza. Ma sapevo che mi stimava: mi voleva alla Samp nell’estate del ’98. Su di me potevano esserci dei dubbi vista l’età e per il fatto che l’anno prima a Parma avessi giocato poco. Con Luciano ci sentiamo ancora, ha fatto una carriera importante».

Sensini, cos’è per lei l’Udinese?

«La squadra in cui ho iniziato la mia carriera in Europa che mi ha permesso di crescere come calciatore e come persona. Il rapporto non si è mai spezzato, so che i friulani mi vogliono bene e infatti non è stato facile per me tornare in Argentina. Ma non escludo nemmeno un giorno di tornare a Udine, non chiudo mai le porte a niente».

Potesse tornare indietro rifarebbe la stessa scelta accettando la panchina dell’Udinese appena smesso la carriera di calciatore?

«No, quello è un errore che poi ho pagato. Io inizialmente avevo rifiutato, poi furono De Sanctis, Bertotto e altri ragazzi che mi convinsero assieme ai Pozzo. Ma per intraprendere un simile cammino devi farlo con calma e con un tuo gruppo di lavoro».

Lei oggi fa il direttore sportivo del Newell’s Old Boys. Potrebbe essere l’uomo che riporterà Messi nella sua prima squadra.

«Io vedo questa come un’ipotesi ancora lontanissima».

Si ricorda quando premiò un Messi giovanissimo al Teatro Giovanni da Udine?

«Certo. Anche chi non sapeva di calcio aaveva capito che ci trovavamo di fronte a un vero fenomeno. La sua forza è sempre stata quella di andare alla ricerca di superare se stesso. Dopo Maradona, che è stato il numero uno in assoluto, credo che sarà difficile per l’Argentina trovare un altro fuoriclasse di questa levatura».

In Friuli ci sono due argentini che si stanno facendo valere. Musso e De Paul.

«Il primo è un portiere con mezzi fisici straordinari, deve crescere sotto il profilo tecnico, ma se a 21 anni sei titolare nel Racing e a 22 ti guadagni il posto anche in serie A significa che qualcosa vali. I vecchi allenatori dicevano che un portiere diventa grande dopo che ha subito 100 gol. Musso è ancora giovane».

E De Paul?

«È cresciuto tantissimo da quando giocava nel Racing. Adesso ha imparato a selezionare la giocata. In Nazionale Scaloni gli ha dato fiducia e lui lo ha ripagato con buone prestazioni: nel ruolo di centrocampista non ci sono altri giocatori che stanno facendo bene come lui. Io credo che gli allenatori alle volte parlino troppo con i calciatori proponendogli soluzioni in base anche alle proprie esperienze personali vissute in campo. A volte è meglio dare pochi consigli ma buoni».

Ecco, a proposito di ruolo, se lei avesse in rosa De Paul dove lo metterebbe?

«Dove lo fa giocare Gotti, sia che davanti ci siano due punte sia che si giochi con il tridente. Credo che l’Udinese adesso con lui, Mandragora e Fofana in mezzo al campo abbia trovato il giusto equilibrio, le loro caratteristiche si integrano bene. De Paul va sfruttato negli ultimi quaranta metri, chiedendogli dei compiti di copertura ma non in maniera esagerata».

Che Udinese ha visto quest’anno?

«Da quando la squadra è stata affidata a Gotti qualcosa è cambiato. Specialmente nelle ultime partite la squadra è cresciuta sul piano della personalità e del palleggio. Si vede che c’è un’idea. Peccato per le tante occasioni sbagliate: quella di Brescia è una partita che normalmente dovresti vincere 3-0. Anche con l’Inter la squadra se l’è giocata perché dal punto di vista fisico è tosta».

Domani c’è il derby con il Verona e lei sa bene quanto i tifosi ci tengano a questa sfida. L’Hellas è la rivelazione del campionato.

«Io credo che l’Udinese non sia inferiore e per i bianconeri quella del Friuli sarà una bella occasione per dimostrare proprio questo. Il potenziale dei bianconeri è quello di una squadra da metà classifica».

Chi ha lasciato l’Udinese è Pussetto che lei ha allenato in Argentina.

«Per quello che ho potuto vedere nel 3-5-2 non era un giocatore di facile collocazione. Io l’ho sempre considerato un attaccante esterno da tridente, anche se nella sua carriera non ha mai segnato tanto come per esempio un Di Michele o un Di Natale. A volte è stato impiegato a tutta fascia ma non ha le caratteristiche per quel ruolo».

In questi giorni ha avuto modo di incontrare Giampaolo Pozzo e il dt Marino.

«Il patron è sempre contento di vedermi, mi fa piacere. A me, come ho detto prima, fa sempre un effetto particolare tornare in Friuli. Lo stadio è uno spettacolo. Balbo ha detto che gli sarebbe piaciuto fare gol sotto la nuova curva Nord? Anche a me che di gol ne segnavo pochi. Con Marino abbiamo parlato dell’Udinese, ma anche di Maradona, ovviamente. Diego secondo me ha rappresentato il calcio al massimo livello: lui faceva cose che altri nemmeno immaginavano».

E di Gotti cosa ci può dire?

«Abbiamo in comune un’esperienza a Udine e una a Parma. Mi sembra una persona molto intelligente e preparata. Ho letto una sua intervista nella quale diceva che da secondo ha imparato ad ascoltare e stare zitto. Verissimo».

Costruisca la sua Udinese ideale tenendo conto solo dei giocatori che sono stati suoi compagni.

«In porta De Sanctis, in difesa devo mettere Calori che che la scorsa settimana mi aveva inserito al suo fianco; terzini Bertotto e Jankulovski. In mezzo Pinzi che corre e Pizarro che costruisce; Balbo di punta e dietro tre mezze punte che si scambiano di posizione: Jorgensen, Dell’Anno e Di Natale. In panchina Spalletti, ovviamente».


 

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