L’Inter è tricolore dopo undici anni Tra mille trappole la rivincita di Conte

Fabio Scavuzzo / MILANO
Ha spodestato la “sua” Juventus dopo nove anni di dominio pressoché incontrastato e riportato lo scudetto - dove mancava dallo “storico” 2010 - nella Milano nerazzurra. Antonio Conte e la vittoria, un feeling inscindibile. L’ha sfiorata al primo anno - fermandosi in finale di Europa League e chiudendo a un punto dai bianconeri di Sarri - l’ha trovata al termine di una stagione che tutto è stata fuorché semplice o lineare. Non chiamatela “pazza”, aggettivo che al tecnico di Lecce piace poco (e a farne le spese è stato il simbolico inno), ma anomala di certo sì.
E se la tremenda variabile Covid ha tolto via il pubblico dagli stadi e colpito più o meno duramente tutte le squadre, le difficoltà che Conte - con staff e squadra, certamente - ha saputo affrontare e superare sono state prettamente di natura societaria.
Il progetto Suning che lo aveva sedotto e conquistato nell’estate del 2019 è via via diventato sempre meno chiaro, a un certo punto è sembrato persino evaporare. Ma alla fine proprio le incertezze della proprietà hanno finito per compattare un gruppo che l’ex ct ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Sempre sul pezzo, incapace di mollare. E, alla fine, vincente. La tanto abusata figura del condottiero Conte l’ha vestita in pieno: giù l’elmetto, lancia in resta e scudo alto. Eppure quella che si è trasformata in una cavalcata trionfale non era nata nel migliore dei modi. Dopo la finale col Siviglia e le bordate contro una società che a suo avviso l’aveva poco protetto e difeso, la tregua nel vertice di Villa Bellini il 25 agosto. Un mercato avaro, il poco tempo dedicato alla preparazione fisica e la voglia di cambiare qualcosa a livello tattico (per far “digerire” Eriksen trequartista) hanno fatto partire l’Inter col freno a mano tirato. Il tutto mentre il Milan, di contro, volava.
E, soprattutto, mentre la Champions League scappava via di nuovo, con una cocente eliminazione ai gironi, la terza di fila. E stavolta senza il salvagente dell’ex Coppa Uefa. Ma è stato proprio nella sciagurata notte di San Siro contro lo Shakhtar che è scattata la molla. Per la squadra, ma anche per Conte. Che fino a quel momento non sembrava lui. L’impressione - vedendolo muoversi e agitarsi meno in panchina - è che avesse un pò perso il suo mordente, il suo marchio di fabbrica. Che, in definitiva, su quella panchina era “dovuto” rimanere, a fronte di un ricchissimo triennale. In quella notte di dicembre, invece, mentre qualcuno gli faceva notare (e lui rispondeva piccato) che la sua Inter non aveva un “piano B”, che fosse sempre uguale a se stessa, si è riaccesa la fiamma che è poi divampata in incendio.
Un guaio, per gli avversari. È lì che è nato il patto per lo scudetto. Conte e la sua banda hanno potuto concentrare tutte le proprie attenzioni sull’inseguimento del 19esimo tricolore, conquistato matematicamente oggi ma di fatto in tasca da almeno un mese, complice il crollo verticale del Milan e le crescenti incertezze della nuova Juve di Pirlo.
Incertezze messe a nudo nello scontro diretto del 17 gennaio, quando l’unico lampo stagionale di Vidal e la progressione di Barella hanno evidenziato plasticamente che le gerarchie stavano per essere sovvertite. Conte ha messo a punto un meccanismo perfetto partendo dalle basi: se alla Juve c’era la Bbc, all’Inter è nata la Sdb, ovvero il trio Skriniar-de Vrij-Bastoni, capace di filtrare di tutto e di più, proteggendo un Handanovic mai visto così incerto. Ha poi rispolverato l’oggetto misterioso Eriksen e l’incostante Perisic, trovando loro casa nell’ormai inamovibile 3-5-2. Barella è esploso, Hakimi ha trovato la sua dimensione, Brozovic ha conquistato fiducia e serenità. E poi certo, c’è Lukaku. L’epicentro del contismo in salsa nerazzurra. E con lui Lautaro, sempre più incisivo. Uno spogliatoio granitico, cementato - è un paradosso - dai guai finanziari di una proprietà cinese a lungo distante. Gli stipendi non versati, le voci su una possibile cessione.
Tutto è sempre rimasto fuori da Appiano Gentile, anche grazie al lavoro di Beppe Marotta, un altro ex bianconero che si gode la sua personale rivincita. Ora il cerchio si è chiuso, Conte ha dato da bere alla sua sete infinita di vittorie e conquistato il quinto campionato da allenatore (3 con la Juve, 1 col Chelsea) ma - c’è da giurarci - la testa è già a come far suo il prossimo. In nerazzurro? —
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