Pogacar, il marziano normale

Coccole e baci alla fidanzata prima dell’avventura
«In maglia rosa dalla prima all’ultima tappa? Non esageriamo»

Antonio Simeoli Inviato a Torino
Tadej Pogacar, 24 anni: è il re del ciclismo mondiale
Tadej Pogacar, 24 anni: è il re del ciclismo mondiale

TORINO. Beinasco, San Luigi Hotel, periferia di Torino. Ore 17. Ha appena finito la conferenza stampa pre Giro d’Italia, mezz’ora, metà del tempo a rispondere alle domande dei giornalisti presenti, altrettanto a soddisfare una decina di colleghi della piccola Slovenia, che già pregustano la doppietta dopo il trionfo 2023 di Roglic.

Si apre la porta dell’ascensore e Tadej Pogacar, il re del ciclismo mondiale, l’unico per cui il Cannibale Eddy Merckx abbia mai detto che sì forse questo ragazzo col capello sbarazzino di 24 anni è al suo livello, riappare assieme alla fidanzata-ciclista della Jayco, Urska Zigart, due anni più. La scena dice tutto, o quasi, di questo fenomeno: tuta, zainone in spalla, due borse in mano, re Tadej fa quello che fanno tutti i giovani fidanzati innamorati del mondo. Pochi minuti e ricompaiono nel parcheggio dell’hotel. Pogacar, due Tour, valanghe di corse vinte, si abbraccia e bacia la sua Urska, che torna nella loro casa a Montecarlo e lo raggiungerà martedì quando il Giro arriverà in Liguria.

Anche lei va forte in bici, allo zaino è appeso l’inequivocabile caschetto.
Così, come due ragazzi normali, con la passione della bici. Innamorati.

Se ci si chiede perchè Pogacar, 7 milioni di euro di ingaggio annui, domini da quattro stagioni il ciclismo mondiale molto sta nel suo talento, ma molto sta anche nel fatto che lui si diverte ad andare in bici.

L’ha fatto capire anche giovedì ai giornalisti, arrivati lì soprattutto per chiedergli come si fa a iniziare un Giro, prima tappa di una progettata doppietta col Tour che non riesce dai tempi di Pantani (era il 1998), sapendo di essere il più forte, meglio il vincitore annunciato. Sorride, Pogy.

«Io in rosa dal primo all’ultimo giorno? No, è qualcosa di inimmaginabile. Non ho un piano del genere – ha detto – Bisogna pensare con la testa, sia per se stessi che per la squadra. A me interessa arrivare in rosa a Roma. Correre in Italia è uno spettacolo anche perchè a Nord Est ci saranno tanti sloveni». Ecco, la sua Uae Emirates è condannata a correre con i fucili puntati di tutte le rivali e sa di avere contro tutti.

Già la tappa inaugurale, sabato a Torino, potrebbe chiamarlo a recitare da protagonista, ma tutti si aspettano un’impresa domenica a Oropa, dove Pantani nel 1999 si esibì nella celebre rimonta.

«È già un test duro – spiega il fuoriclasse - che potrà rivelare qualcosa sull’andamento del Giro. Le salite sono tante, penso a Livigno, al doppio Monte Grappa che mi intriga molto, nell’ultima giornata di montagna prima di Roma. Ma sono fiducioso: la squadra c’è, siamo pronti». Nella saletta dell’hotel c’è anche il suo manager Alex Carera. «Sì, mi ha chiesto di Pantani, di quella rimonta ad Oropa, ma cosa volete lui è nato nel 1998, aveva un anno...».

Accanto c’è Andrea Agostini, ora dirigente all’Uae, quel giorno ad Oropa era all’arrivo ad aspettare Pantani di cui era l’addetto stampa alla Mercatone Uno. Corsi e ricorsi storici.
Chiedono al re di commentare il suo inizio di stagione di verso dal solito, cioè con meno gare proprio perchè il grande obiettivo è l’accoppiata Giro-Tour.

Meno gare, vittorie a raffica: sette su 10 giorni col numero sulla schiena, con Strade Bianche, Liegi Bastogne Liegi dominate e 4 tappe più la generale al Giro di Catalogna

«Non mi aspettavo di vincere così tanto. Devo ammettere che avrei voluto vincere anche la Sanremo – (attacco sul Poggio, decimo posto), ma non ha funzionato. Tuttavia è stato un gran inizio di stagione».

Gli chiedono se senta la pressione. «No, non mi spaventa. Purtroppo, o per fortuna, sono il primo favorito. Ma il Giro dura 21 giorni, possono succedere molte cose. Ci sono tanti corridori forti, giovani ed esperti come Romain Bardet e Geraint Thomas: bisogna stare attenti. È irrispettoso per i miei colleghi parlare solo di me e della mia squadra».

Sulla caduta al Giro dei Paesi Baschi, che sta mettendo in dubbio la partecipazione al Tour del grande rivale Vingegaard, lo sloveno ribadisce ancora di «essere rimasto scosso e di augurarsi una pronta ripresa del danese».

Ah, a proposto di rivali, il gallese Thomas della Ineos, 38 anni il 25 maggio, ha detto di non sentirsi battuto «altrimenti non sarei qui», ma che c’è «un grande favorito, uno dei più forti corridori di sempre e cercheremo di contrastarlo».

Inizio di stagione di Thomas: 13° posto al Tour of the Alps, 27° al Giro di Catalogna, 65° alla Volta ao Algarve: trovate le differenze. Sorride. Ci avviciniamo, gli mostriamo sullo smartphone una foto del 2018 di quando vinse il Giro del Friuli under 23.

«Che grande vittoria, certo che mi ricordo: in Italia ho già vinto». Saluta, sorride. Sempre.
E giovedì sera per lui (e gli altri girini), nonostante la pioggia, bagno di folla al Parco del Valentino per la presentazione delle squadre. Da sabato si corre. Con questo marziano “normale” ci sarà da divertirsi. —
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