La maglia rosa è ecuadoriana, Pogacar attacca ma perde
A Torino vince Narvaez, poi Schachmann e lo sloveno che domenica cerca l’impresa a Oropa

TORINO – In fondo per il Giro d’Italia, iniziato sabato nel nome del Grande Torino e del ricordo dei 75 anni della tragedia di Superga, è una gran bella notizia.
Tadej Pogacar è il più forte, va in salita come una moto, non si vede come possa perdere la maglia rosa di Roma il 26 maggio, ma sulle strade del Belpaese il successo dovrà sudarselo perchè ci sono un sacco di corridori pronti a mettergli i bastoni tra le ruote, almeno nelle singole tappe.

Come accaduto ieri al 27enne ecuadoriano Jhonathan Narvaez (Ineos), che è riuscito a resistere al terrificanete attacco che il marziano, come da programmi, ha portato sulla breve ma dura salita finale di San Vito a 3 km dall’arrivo da Torino. «La salita era dura fin dall’inizio e così sono riuscito a tenere le ruote di Pogacar», ha detto appena indossata la rosa ebbro di gioia. Facendo un’impresa.
Sulla Redoute, salita simile a quella di ieri, due settimane fa l’altro ecuadoriano Richard Carapaz (Ef) era riuscito a resistere solo qualche metro all’attacco veemente di Pogacar.
Con un altro che ha corso alla grande, il tedesco Max Shachmann (Bora), il marziano e l’ecuadoriano si sono gettati a capofitto verso l’arrivo. E in volata Pogacar, che è veloce, ha perso da Narvaez e pure dal tedesco.
È allora battibile lo sloveno? Fermi tutti. In una tappa secca di 140 km, corsa a perdifiato, può anche capitare di perdere, in un Giro di 21 giorni no. Con tre scatti, su una salita dura, ma di 1,4 km, lo sloveno ha staccato tutti i rivali più accreditati.
Piuttosto un campanello d’allarme è scattato nella sua Uae Emirates, perchè il capitano nel finale è rimasto solo con un gregario prestando il fiando a una serie di attacchi dei rivali. «Due compagni di squadra hanno avuto una giornata no», ha detto il ds vicentino Fabio Baldato.

Insomma, Narvaez è in rosa, Pogacar, salvo cataclismi, oggi a Oropa gliela sfilerà, perchè sulla salita di 11 km verso il santuario, 25 anni fa teatro della remuntada epica di Pantani, la musica sarà diversa.
Ma dietro si è anche visto tanto azzurro. Non solo per il cielo che (finalmente) ha accompagnato i corridori sin dalla partenza di Venaria Reale, spettacolare e affollatissima di pubblico, ma anche per i tanti italiani che hanno caratterizzato la gara.
I primi due si chiamano Filippo Fiorelli (Vf Group) e il belunese Andrea Pietrobon (Polti Kometa), che hanno caratterizzato la fuga di giornata. Poi il vecchio e il giovane: l’esperto Damiano Caruso (Bahrain), secondo nel 2021 e quarto nel 2023, che ha cercato un attacco nel finale e Giulio Pellizzari (Vf Group), con i suoi 20 anni il pià giovane al Giro. Il marchigiano, che corre nel mito di Michele Scarponi, ha provato pure a reggere all’attacco di Pogacar. Insomma, ha talento.
E bene sono andati Filippo Ganna (Ineos), rimasto con i migliori, il friulano Alessandro De Marchi (Jayco), il trentino Nicola Conci (Alpecin) e Antonio Tiberi (Bahrain) altro baby che può puntare alla classiofica generale.
Che bella la prima tappa del Giro, con l’omaggio al Grande Torino e la carovana passata a pochi metri da Superga, dove si infransero i sogni di una generazione 75 anni fa; con la fiumana di gente sul percorso. Con quegli italiani gagliardi.
Col marziano Pogacar che domina, attacca, perde. E s’arrabia quando perde. Di più ieri, non per ingordigia, ma perchè voleva dedicare il successo a un ragazzo di 15 anni della sua academy appena annegato durante una gara di kaya. Perchè in Slovenia da bimbi si fanno tutti gli sport. E non a caso nascono i fenomeni. Che ogni tanto perdono. Ed è bello così.
Anche perchè il record di Bugno, nel 1990 i rosa dalla prima all’ultima tappa è salvo va...
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