Damiano Cunego fa le carte al Giro d’Italia: «Alla ricerca dei nuovi Nibali»

Il “piccolo principe” tifa Caruso e incorona Pogacar. Il ciclismo di oggi? Un misto tra innovazione e tecnologia

Gianluca De Rosa

 A.A.A. nuovi Vincenzo Nibali cercasi. Damiano Cunego fa le carte al Giro d’Italia che parte sabato da Rorino auspicando un ricambio generazionale non solo in sella, ma anche nella stanza dei bottoni. Il “piccolo principe” tifa Caruso e incorona Pogacar. Il ciclismo di oggi? Un misto tra innovazione e tecnologia.

Ma andiamo per ordine: che Giro d'Italia ti aspetti?

«Solito mix tra spettacolo e difficoltà. Il Giro d’Italia resta una delle corse a tappe più dure. La gestione delle tre settimane è complicata, l’arma segreta è la continuità. Quest’anno si farà selezione già al pronti via. La salita di Oropa mi incuriosisce molto, piazzata lì, alla seconda tappa. Ci saranno tante tappe nervose e poi le immancabili grandi salite. L’arrivo al passo del Brocon ma anche quello di Sappada potrebbero risultare decisivi per la vittoria finale. L’arrivo di Bassano del Grappa lo vedo come la classica ciliegina sulla torta, ma a mio avviso, alla penultima tappa, il Giro sarà già stato assegnato».

Assegnato a chi?

«Tadej Pogacar oggi ha qualcosa in più degli altri, è un atleta completo, bravo in tutte le situazioni. È l’emblema del ciclismo moderno, performante ai massimi livelli, concentrato attorno a innovazione e tecnologia. Personalmente tifo per Damiano Caruso, l’unico oggi tra gli italiani insieme a Giulio Ciccone in grado di regalare soddisfazioni in eventi come il Giro. Mi aspetto qualche stoccata dei nostri ciclisti, ma limitata ad una vittoria di tappa, magari in una di quelle caratterizzate da fughe partite da lontano a fari spenti. Per tornare a vincere una grande corsa a tappe non siamo ancora pronti».

Che momento vive il ciclismo nostrano?

«Non un bel momento, mancano come l’aria i grandi atleti in grado non solo di vincere, ma anche di appassionare la gente. Con l’uscita di scena di Vincenzo Nibali si è creato il vuoto. Ci sono tantissimi giovani bravi in circolazione, meritano fiducia ma siamo indietro rispetto ad altre nazioni, soprattutto nel processo di costruzione dei successi. Si parla tanto di ricambio generazionale ma questo non deve essere limitato a chi va in bici. Il ricambio, a mio avviso, deve interessare anche altri ambiti, tecnici e dirigenziali. In altri paesi è stato già fatto uno step importante in tal senso. Da noi le facce note sono le stesse da decenni. Eppure il mondo va avanti, si evolve. La tecnologia e le nuove idee corrono freneticamente, lo sto vivendo sulla mia pelle con l’esperienza negli studi che mi appresto a completare (laurea in scienze motorie). Manca la fiducia, ma se non ci proiettiamo al futuro abbracciando nuove idee non faremo molta strada».

Tornando in sella, in chi ti rivedi?

«Pogacar è un campione indiscusso ma io avevo altre caratteristiche. Dico Evenepoel. Ha qualità straordinarie, deve migliorare nella gestione delle grandi corse a tappe, questione di esperienza. Mi piace tantissimo».

Se ti dicessi “quella volta che..”, cosa ti passa nella testa?

«Più che un momento ben distinto che pure c’è mi vengono in mente, oggi più di ieri, tutte quelle volte che per un dettaglio all’apparenza insignificante non ho vinto. Un tempo la colpa era della sfortuna, del caso o del destino. Oggi dico che il dettaglio va curato se si vuole fare il salto di qualità».

Cosa ti ha impressionato di più del ciclismo moderno?

«Ho detto già di innovazione e tecnologia ma quello che più mi colpisce è senza ombra di dubbio la cura maniacale per l’alimentazione. Tutto è tarato al centesimo, le crisi che un tempo arrivavano nel bel mezzo della gara, come una mazzata, ora sono state azzerate». — © RIPRODUZIONE RISERVATA

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