La veglia per Giovanni Trame: in mille a Muggia si stringono nel ricordo
Alla cerimonia presente anche il padre Paolo Trame. Il parroco don Andrea Destradi: «Dobbiamo riscoprire la bellezza della vicinanza»

«Mi fa paura il coltello, mamma, mi fa paura...succederà ancora?». La madre, seduta sul gradino del sagrato davanti alla chiesa, abbracciando il figlio: «No, non succederà più, non succederà più». Alle nove e mezza di sera i volti dei bimbi piccoli sono ormai stanchi, ma quelli dei più grandicelli sono svegli e attenti.
Sono sguardi che capiscono. Ed erano in tanti i bambini che sabato sera hanno accompagnato i genitori in duomo a Muggia per la veglia in memoria di Giovanni. Nove anni, accoltellato alla gola dalla madre. In bagno, dove forse il piccolo aveva cercato di rifugiarsi.

Si contava almeno un migliaio di persone alle cerimonia serale, fortemente voluta da don Andrea Destradi: il parroco di Muggia che ben conosce i genitori di Giovanni. Le loro liti e le battaglie per contendersi il figlio, le difficoltà economiche della madre e la sua malattia psichica. E che per questo motivo aveva cercato di sostenere, con l’ascolto e la presenza innanzitutto.
C’erano almeno mille persone, dunque. E tra loro, accanto agli amici di Giovanni, accanto ai compagni di scuola, di calcio e di catechismo, anche tantissimi genitori. Chi, più di loro, può comprendere il dramma di quanto accaduto?

C’erano muggesani, triestini e famiglie intere, insieme al vescovo Enrico Trevisi, il sindaco Paolo Polidori e parte della giunta. E insieme a numerosi rappresentanti delle forze dell’ordine, ai vigili del fuoco e ai sanitari del 118.
Perché l’atrocità di quanto successo ha sconvolto anche loro, così abituati a vedere cose brutte nel loro mestiere. E c’era il papà di Giovanni, Paolo Trame.

Bambini, mamme, papà, nonni e qualunque semplice persona, hanno portato un fiore, un biglietto o un giocattolo davanti all’abitazione di piazza Marconi 3 in cui è stato ucciso il bimbo. Quella parte, adesso, è illuminata dalle candele.
Don Andrea ha trovato le parole per portare un po’ di luce e conforto alla comunità muggesana. Ha citato il Vangelo di Luca e il gesto del Samaritano che ebbe compassione nell’uomo incappato nei briganti.
«Dobbiamo provare compassione per chi vive nella povertà, nel disagio, nella marginalità, nel disagio psichico. Le loro vite – ha osservato il sacerdote – non possono essere solo delle pratiche di un ufficio comunale o di un tribunale, già oberati da tante pratiche. E dove qualcosa sfugge. Ma quel qualcosa sono vite. Quanto è accaduto – ha aggiunto – ci ha devastato».
«Ma spesso pensiamo che la fragilità e il dolore degli altri non ci riguardino. Pensiamo sempre che ci debba essere qualcun altro a dover intervenire. Non ci occupiamo degli altri anche in nome della riservatezza. Ma ci deve essere un legame sociale che viene prima della legge e deve anche stimolarla la legge, non solo per evitare il male, ma anche per consentire il bene. Dobbiamo riscoprire la bellezza della vicinanza. Siamo connessi costantemente, ma sempre più distanti. Vedo ma non guardo, perché non mi riguarda. Il Signore non ci dice di non fare del male, ci dice amatevi come io ho amato voi. In tanti mi domandano dove sia Dio in questa tragedia...Dio è nel profondo del nostro dolore ed è lì per rialzarci».
Al termine della cerimonia le centinaia di persone presenti, insieme ai bambini, hanno portato le candele davanti alla casa in cui si è consumato l’orrore, accompagnando il padre Paolo. Le hanno appoggiate per terra, ognuna su un piccolo cuore.
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