Tutto pronto per il “Lercio show”, l’unico spettacolo dove le fake news sono concesse

Sarà un “Lercio show” live. Chi conosce lo spirito di questo manipolo di mattacchioni on line sa di che stiamo parlando: Lercio è l’unica voce italiana veramente fuori dai bla bla convenzionali con una spiccata attitudine alla satira. Stasera i due inviati della rivista inzuppata nel buonumore — Vittorio Lattanzi e Rosaria Greco — saranno finalmente liberi di esprimersi su un palco vero.
Accadrà alle 21, al Palamostre di Udine, quartier generale del “Fake News Festival”, analisi contemporanea di cosa leggiamo su telefonini, giornali e quant’altro e su come dobbiamo comportarci per riuscire a distinguere il vero dal falso: confine strettissimo e impervio. L’ingresso è libero.
Vittorio, sono dieci anni di lerciate, ormai, e con sempre più voglia di dissacrare molti contenuti di un Paese che mostra spesso il fianco.
«Il nostro primo decennale è andato liscio. E lo spettacolo di Udine riassumerà i due lustri di vita di un gruppo che ragiona da giornale on line vero. Viviamo in una redazione, ognuno ha i suoi compiti: chi crea, chi controlla, chi impagina, chi agisce sui social, siamo una squadra battagliera e attenta ai movimenti della società, della politica, insomma dell’Italia e di quello che accade nel mondo. Per ogni annata abbiamo isolato un paio di iconiche battute e così cercheremo di divertirci tutti assieme».
Torniamo indietro all’ottobre 2012 quando tutto si formò, come l’universo col big bang.
«Eravamo in una nebulosa confusa, per stare in tema con l’astronomia, e ce la spassavamo, a proposito, a creare disordine fra le notizie, ponendole in quella zona pericolosa fra il vero e il falso. Ecco perché siamo qui al festival. Dopo un periodo di prova ci ritrovammo a maneggiare materiale che stava passando dalla parte del poco gradito: la fake news era messa al bando e così anche noi abbiamo abbandonato quel genere di sistema spostandoci più sulla satira libera».
Cosa c’è scritto sul vostro vessillo?
«Oddio, non saprei. Posso dire che diffondiamo il verbo del “Mock Journalism”, per esempio. To Mock significa “prendere in giro”, “paraculare”. Si tratta di una forma espressiva impiegata, al tempo, da due giganti della letteratura: Mark Twain e Jonathan Swift. Noi cerchiamo di usarla al meglio. Un’altra definizione sul nostro modo di esprimerci è essere “Fictional news”. Il capostipite della saga è il film “The Onion Movie” del 1985, una commedia americana satirica dalla quale si sono formate varie correnti mondiali. Noi italiani non siamo stati i più veloci, in realtà, ma alla fine ci siamo arrivati».
E Lercio vien fuori da?
Dal titolo di un free press: “Leggo.it”. Il font del nostro logo è lo stesso. E forti di un’insegna stabile abbiamo cominciato a inventarci delle situazioni surreali. Ricordo un paio di battute degli inizi: “Ultrà della Lazio beccato mentre accarezza un gattino”, oppure “Misterioso remo trovato in mare”. Poi lentamente ci siamo spostati ad analizzare i paradossi della vita, lasciando un po’ di spazio alla parte surreale, ovviamente».
Tant’è che l’Accademia della Crusca vi ha dedicato una delle loro celebri “pale”.
«Già, pare una fake e, invece, è tutto vero. Non tanto per i contenuti, quanto per la precisione dell’opera finita. Ci teniamo parecchio a far uscire i pezzi senza refusi e scritti in un buon italiano. Gestiamo un programma che ci assicura quasi la perfezione, nonostante sia piuttosto lento. Premiati anche per un paio di neologismi da noi creati, come lercista o lerciata. Quelli della Crusca osservano con piacere le evoluzioni linguistiche».
I social sono il vostro miglior territorio di caccia, vero?
«Sì, confermo. Tutti a parte Facebook. Pende su di noi una spada di Damocle sotto forma di algoritmi avversi. Mentre su Instagram e su Twitter raccogliamo migliaia e migliaia di like e di condivisioni, su Fb ci dobbiamo accontentare di una decina. Peccato, proprio su Facebook abbiamo la maggior parte dei fan, ma ci toccherà abbandonarlo. Ci resta soltanto un’ultima telefonata della speranza: a Mark Zuckerberg».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto