Riccardo Illy: «Il progetto Nord Est? Congelato, non fallito. Ora tocca alla politica»

«Lì dove c’erano i sindaci, oggi devono esserci i presidenti di Regione. Il Veneto

potrebbe ottenere una corsia preferenziale per raggiungere l’autonomia»

Marco Ballico
Riccardo Illy
Riccardo Illy

Il progetto Nord Est? «Diciamo che è congelato», dice Riccardo Illy, l’imprenditore che, da sindaco di Trieste negli anni Novanta, fu dentro il movimento lanciato dall’allora direttore del Gazzettino Giorgio Lago, di cui facevano parte tra gli altri il professor Massimo Cacciari, l’eretico del Carroccio (piaceva anche a lui che lo chiamassero così) Bepi Covre, primo cittadino di Oderzo, l’avvocato bellunese Maurizio Fistariol, l’industriale Mario Carraro. «Eravamo politicamente trasversali, ma uniti. Fu un periodo entusiasmante», racconta Illy, convinto che quell’esperienza, diversamente da quanto ritiene Cacciari, può avere ancora un senso.

Se non addirittura un futuro. Perché secondo l’ex presidente del Friuli Venezia Giulia, il Veneto, una volta naufragato il percorso avviato con il referendum consultivo del 2017, «avrebbe l’occasione di riproporre il progetto del Nord Est e, come unica Regione che in quest’area non ha uno statuto speciale, potrebbe ottenere una corsia preferenziale per raggiungere l’autonomia».

Illy, partiamo dal movimento dei sindaci. Qual era la sua forza?

«Quella dell’aggregazione. Quando dovevamo fare una richiesta, non era più il singolo Comune che la avanzava, ma erano tutti i Comuni capoluogo di provincia del Nord Est».

I risultati?

«Furono parziali. Riuscimmo tra l’altro a fare modificare alcune norme, adattandole alle esigenze del territorio. Quello che è mancato è stato però lo sviluppo istituzionale. Ma mi piace pensare che il progetto sia congelato, non che sia fallito».

È un mai dire mai?

«Emergesse una leadership forte, il progetto può essere recuperato e rilanciato».

Un Nordest senza trattino, come lo definiva Lago, o scritto con due parole?

«Molti scrivono addirittura Nord-Est; i trattini creano sempre dei distinguo, sono divisivi. Per questo sono stato favorevole alla eliminazione del trattino di Friuli Venezia Giulia, avvenuta con la modifica costituzionale che ha riformato le Regioni. Così sono favorevole a scrivere Nordest, una parola sola. Se l’obiettivo è di creare unità territoriale, sia sul piano economico che su quello istituzionale, è bene partire da un elemento simbolico come il nome».

Recuperare il progetto, ma in che modo?

«Sappiamo tutti che c’è stato un referendum per l’autonomia del Veneto. Sappiamo anche che l’iniziativa ha portato a un disegno di legge che coinvolge molte altre Regioni. Ma a me pare ci siano ben poche possibilità che si possa arrivare a una sua approvazione. Spero per i proponenti di non essere troppo pessimista, ma, se così fosse, potrebbe essere l’occasione per il Veneto di riproporre il progetto del Nord Est».

Perché il Veneto?

«Perché è l’unica Regione del Nord Est che non ha uno statuto speciale. Con questa motivazione, il Veneto potrebbe ottenere una corsia preferenziale per raggiungere l’autonomia».

Cosa è oggi il Nord Est?

«Soprattutto un’entità economica, molto ben integrata nel Nord Italia. Un territorio altamente industrializzato, che negli ultimi decenni si è sempre più omogeneizzato e ha saputo sviluppare nuove strutture. Una per tutte: Sparkasse-CiviBank è la banca del Nordest. Da alcuni giorni c’è inoltre il gruppo dei quotidiani locali, e non dimentichiamo il turismo, la prospettiva delle Olimpiadi invernali 2026 a Cortina, l’area della ricerca e delle startup innovative: anche l’Alto Adige fa ora parte di quel settore».

Tocca alla politica, quindi?

«La sua azione è fondamentale. Lì dove c’erano i sindaci, credo che debbano esserci oggi i presidenti di Regione. Friuli Venezia Giulia e Veneto hanno governatori che hanno dimostrato capacità sia politiche che di governo e mostrano una visione convergente. Va coinvolto il Trentino Alto Adige e ci si può riuscire, visto che anche la Provincia di Trento ha una giunta di centrodestra».

Lei rispolvererebbe pure la “sua” Euroregione?

«Nessun dubbio. Coinvolgere Carinzia, Slovenia, le due Regioni dell’Istria e della Regione Litoranea-Montana darebbe più significato al progetto del Nord Est e potrebbe aumentare le probabilità di successo».

C’è un’architettura istituzionale possibile per tutto questo?

«Se il Veneto riuscirà a portare avanti un processo di autonomia, il modello da seguirà sarà più simile a quello del Friuli Venezia Giulia che non a quello del Trentino Alto Adige. A quel punto ci potrebbero essere iniziative comuni tra le tre Regioni per acquisire ulteriori elementi di autonomia».

Quali?

«Ne cito uno, l’educazione, per la cui gestione sul territorio la nostra Regione si è impegnata negli ultimi anni. Ma penso anche alle infrastrutture. Finché un’amministrazione da sola si muoverà per chiedere all’Unione europea maggiori investimenti per realizzare una nuova linea ferroviaria ad alta velocità in Slovenia, si continuerà ad andare a Budapest passando per Tarvisio e i tunnel austriaci: un’assurdità. Ma se le Regioni del Nord Est spiegassero che quella tratta interessa molto più all’Europa che non alla Slovenia, che potrebbe contare sull’unica fermata di Lubiana e, per questo, non ha nemmeno elettrificato la linea tra Maribor e il confine ungherese, le cose cambierebbero».

Qual è il comun denominatore sociale dei nordestini?

«Sono territori in qualche modo ancora legati alla Chiesa cattolica, più che altrove. Oltre alla guida politica, dunque, anche quella spirituale ha un impatto sulla popolazione. Non a caso c’è una chiara propensione alle attività benefiche, di volontariato. E così anche all’accoglienza. L’immigrazione è mal gestita o nemmeno gestita da trent’anni e la responsabilità dei governi, mancati clamorosamente nell’inserimento di chi ormai si trovava all’interno dei confini, è fuori discussione. Eppure, nonostante l’assenza della politica, queste terre manifestano apertura e disponibilità che da altre parti non si vedono».

Come superare invece le divisioni della classe dirigente, i campanilismi, le invidie, le alleanze tra coppie di territori per isolare qualcun altro?

«Ultimamente si è mossa più l’economia che la politica. Posso auspicare che, visto l’attivismo degli imprenditori, sia arrivato il momento proprio della politica. Quando l’interesse si sposta a livello superiore, i conflitti locali in genere si stemperano. Il progetto Nord Est spegnerebbe malumori e rivalità».

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