Viaggio nelle grotte “impossibili” del Fvg: ricche di fascino ma riservate a pochi
Delle 7 mila cavità della regione soltanto poche sono accessibili ai turisti. L’esperto: «Più che attrezzarne di nuove vanno potenziati i servizi»

Impossibile di nome e di fatto. La grotta scoperta nel 2004 che si sviluppa sotto la grande viabilità resta inaccessibile ai più. Gli accessi attuali sono praticabili soltanto da chi ha dimestichezza con corde e imbragature. Speleologi e speleoturisti, come succede per gran parte delle oltre 7 mila cavità ipogee disseminate in Friuli Venezia Giulia. Il boom di visite alla Grotta Gigante, che nell’ultimo anno ha accolto più di 110 mila visitatori, interroga sull’opportunità o meno di estendere il circuito del turismo ipogeo, attrezzando altre cavità per la fruizione del grande pubblico.
Riccardo Corazzi, speleologo di lungo corso e membro della Commissione grotte “Eugenio Boegan” della Società Alpina delle Giulie, dà una risposta netta. «L’offerta turistica ipogea è già variegata e ben rappresentata nel nostro territorio – afferma –. In un’area di 50 chilometri abbiamo molte grotte turistiche: la Grotta Gigante, la Grotta delle Torri di Slivia, le Grotte di San Canziano, le famosissime grotte di Postumia e anche la piccola grotta delle Torri di Lipizza. Secondo me, il bacino è saturo, non c’è necessità di attrezzare per il grande pubblico ulteriori cavità anche perché aprirle ai flussi ne mette a repentaglio il fragilissimo ecosistema».
Corazzi è convinto, semmai, che vadano potenziate «le infrastrutture esterne ai siti e la promozione», favorendo visite più rispettose e consapevoli. «Penso ad esempio alla Grotta Gigante, che ha un piazzale in terra battuta: quando piove si trasforma in una distesa di fango», osserva lo speleologo. Le strategie per evitare l’effetto “luna park” richiedono invece tempi più lunghi perché vanno a incidere sulla cultura e sulla sensibilità di chi si addentra nel sottosuolo alla ricerca di emozioni e scorci spettacolari.
«La superficialità non appartiene soltanto a molti turisti – prosegue Corazzi –. Purtroppo ci sono anche speleologi che tendono a percepire le grotte come dei parchi giochi. E così il tema importantissimo della tutela degli ecosistemi di grotta e dell’ambiente ipogeo, affrontati nei corsi di introduzione alla speleologia, rimangono lettera morta. Sono davvero pochi quelli che praticano questa tutela in forma attiva. Invece è fondamentale rendersi conto che le grotte sono un patrimonio da proteggere, soprattutto quelle a bassa energia, cioè fossili come la Grotta Gigante e la Grotta Impossibile».

«Le grotte sono un archivio del tempo», dice Louis Torelli, prendendo in prestito le parole del francese Emile Combes. Torelli, già presidente della Commissione grotte “Boegan”, è stato il primo a esplorare la Grotta Impossibile, di cui ha mappato ogni anfratto insieme al collega Corazzi. «Molte delle nostre grotte sono potenzialmente turistiche, ma bisogna interrogarsi sull’opportunità di aprirle al grande pubblico e chiedere se ne valga davvero la pena considerando il rapporto tra impatto sull’ambiente e l’eventuale ritorno economico».
Anche lui auspica una visita più consapevole, che si tratti di tour turistici o escursioni speleologiche. «Con le scuole sono stati fatti passi in avanti notevoli, proponendo laboratori didattici alla Grotta Gigante», afferma Torelli, che è tra i promotori di Speleolab, «un’associazione che coniuga l’esplorazione ipogea con la ricerca».

Altre azioni di sensibilizzazione riguardano i regolamenti a cui si devono attenere i gruppi speleologici che intendono esplorare cavità come la Grotta Savi o la Grotta Martina. Resta poi una notevole lacuna normativa: «L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo senza una legge nazionale di regolamentazione speleologica – fanno presente sia Corazzi che Torelli –. È un vero paradosso, in un territorio così ricco di grotte».
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