L’irritazione di Fedriga, i calcoli degli alleati e l’agenda: la crisi ora è un caso nazionale

Cosa succede adesso nella giunta del centrodestra? Le parole del ministro Ciriani non sono andate giù al Presidente che ha chiarito di voler andare fino in fondo all’ennesima presa di distanza di FdI

Christian Seu

Irritato, parecchio. Determinato nello scandire a lettere chiarissime un concetto: a queste condizioni non si può andare avanti. Le parole del ministro Luca Ciriani sull’ospedale di Pordenone non sono andate giù a Massimiliano Fedriga, che fin dalla riunione di giunta di venerdì scorso ha chiarito di voler andare fino in fondo di fronte all’ennesima presa di distanza arrivata negli ultimi sei mesi da Fratelli d’Italia.

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La Rete oncologica regionale, l’esternalizzazione dei servizi ospedalieri a Latisana, le opere sul Tagliamento. «Ci fa più opposizione Fdi che parte della minoranza», ironizza – ma fino a un certo punto – un esponente del centrodestra.


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Il presidente della Regione è irritato quasi più per i modi che per i contenuti dell’intervista di Ciriani che ha dato il “la” a una crisi primaverile francamente inimmaginabile fino a qualche mese fa. Il ragionamento, esposto anche nel corso della riunione di ieri, è questo: può un ministro della Repubblica intervenire a gamba tesa su un tema tanto locale, così tanto legato alla gestione regionale? Secondo Fedriga no. Secondo la Lega, che parla «di esternazioni opache e strumentali», neppure.

Per il Carroccio le parole di Ciriani sono funzionali a una prossima “discesa in campo” da candidato governatore. E ieri, nell’etere del videocollegamento della riunione telematica di maggioranza, c’è chi ha messo le mani parecchio avanti, proiettandosi al 2028 e dicendo che no, non c’è la disponibilità del Carroccio a sostenere un’eventuale candidatura del ministro tra tre anni. Discorsi da fantapolitica, per tanti motivi, figli perfino della stizza del momento. Ma tant’è.

C’è chi ritiene che le tensioni siano acuite dalla fretta di chiudere la partita del terzo mandato, bandiera che la Lega continua a sventolare con forza, guardando giocoforza al calendario e a ottobre, quando scoccherà l’ora dei «due anni, sei mesi e un giorno» del secondo mandato.

Tutti a casa prima di allora? Sembrava impossibile fino a qualche giorno fa. Ora è un’ipotesi. C’è un tema di pesature politiche: perché Fratelli d’Italia vuole contare di più, ha il vento in poppa a livello nazionale e rivendica un ruolo di primo piano per il presente e per il futuro. Ma in Regione non ha sfondato, pur passando dal 4 al 18 per cento in cinque anni.

A Fedriga i conti con la calcolatrice però non piacciono: nei discorsi di questi giorni ha rivendicato di non aver mai fatto pesare i 65 mila voti personali in più rispetto al totale delle preferenze dei partiti ottenuti alle ultime elezioni, che gli consentirebbero di spendere una fiche di autonomia decisionale di cui non ha mai approfittato.

E ha messo sul tavolo anche l’atteggiamento della lista che porta il suo nome, che non ha calcato la mano nelle richieste tipiche dello spoils system. Il governatore incontrerà domani Giorgia Meloni: la crisi in Fvg è un caso nazionale. Che rischia di aprire una crepa in una fase in cui Fdi, Lega e Forza Italia parevano – almeno a Roma – andare d’amore e d’accordo. E allora serve un chiarimento forte, che arrivi dalla voce più autorevole che i patrioti possano spendere in questo momento. La premier, appunto.

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