Il dibattito a Onde Mediterranee: «I Cpr come le carceri e i manicomi»

Il tema delle strutture per migranti accende il confronto in teatro: sul palco esperti e attivisti per una riflessione a più voci che è partita dall’eredità morale di Franco Basaglia

Luigi Murciano
I protagonisti del dibattito di Lettere Mediterranee a Gradisca
I protagonisti del dibattito di Lettere Mediterranee a Gradisca

«Dove metto l’agitato, lo straniero, l’irregolare? La domanda sbagliata genera luoghi sbagliati». Con questa provocazione si è aperto L’incontro “Dai diritti alle pene: manicomi, Cpr, carceri”, svoltosi l’altra sera al Nuovo Teatro Comunale di Gradisca nell’ambito di Onde e Lettere Mediterranee.

L’appuntamento ha offerto una profonda riflessione sulle condizioni di vita nei luoghi di reclusione, partendo dall’eredità dello psichiatra Franco Basaglia per approdare alle criticità attuali. Che per la cittadina della Fortezza vuol dire, soprattutto, Cpr.

Sotto lo sguardo simbolico di Marco Cavallo – la statua del cavallo azzurro simbolo della liberazione dai manicomi, installato in piazza Unità d’Italia a Gradisca per tutta la durata del festival – relatori e pubblico hanno ripercorso il filo rosso che lega passato e presente dell’esclusione.

II dialogo ha coinvolto esperti e attivisti, tra cui Massimo Cirri, Matteo Caccia, l’avvocato Andrea Sandra e Gianfranco Schiavone. Cirri e Caccia, autori del podcast “Basaglia e i suoi”, hanno ripercorso la rivoluzione psichiatrica degli anni Settanta-Ottanta, ricordando come la chiusura dei manicomi abbia rappresentato un punto di svolta nella cura delle malattie mentali. Tuttavia, come emerso durante il talk, il problema della marginalizzazione non è scomparso, ma si è semplicemente trasformato. «La lezione basagliana diceva che nessuna istituzione totale può essere riformata. Va smantellata. Eppure quel modello si è solo trasfigurato. I Cpr sono i nuovi manicomi, autoalimentano la marginalità invece di risolverla».

Sandra, Garante dei diritti dei detenuti di Udine, ha denunciato le condizioni disumane nelle carceri, dove la socialità è costretta in spazi inadeguati, pensati per due persone, che spesso ne ospitano quattro o cinque, in condizioni igieniche, sanitarie e climatiche impossibili». Ha definito questa situazione un’afflizione contraria alla funzione rieducativa della pena, evidenziando l’urgenza di un cambiamento di paradigma.

Inevitabili i parallelismi con la realtà dei Cpr. Schiavone, presidente dell’Ics – Ufficio Rifugiati di Trieste, ha ricordato una sentenza dell’Unione europea che ha dichiarato illegale la detenzione in quei “non luoghi”. «Eppure, questi centri non sono certo spariti – ha affermato – perché le persone recluse sono straniere, e quindi invisibili agli occhi di molti».

La sua testimonianza ha messo in luce la doppia ingiustizia subita da migranti e richiedenti asilo, trattati come corpi da contenere piuttosto che come persone da aiutare. «I manicomi facevano aumentare il numero dei “matti’, i Cpr, i Centri permanenti per i rimpatri di stranieri che vengono definiti “irregolari”, fanno aumentare il numero delle persone in condizioni di marginalità», ha osservato, sottolineando come queste strutture continuino a riprodurre dinamiche di esclusione.

L’incontro si è concluso con un appello a superare la logica del «dove metto questo?», sostituendola con una domanda più umana: «Cosa posso fare per quella persona?». Un invito a ripensare la società partendo dai diritti fondamentali, accompagnato dall’annuncio del prossimo viaggio di Marco Cavallo, che da Gradisca raggiungerà i Cpr di tutta Italia per simbolicamente aprirne le porte.

Una serata intensa, che ha dimostrato come la lotta per i diritti e la dignità delle persone recluse sia ancora oggi una battaglia necessaria e urgente.

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