Aggrediti dai detenuti nel carcere di Udine, quattro poliziotti in ospedale con traumi e fratture
Protagonisti dell’episodio due reclusi: un marocchino e un triestino, entrambi erano stati trasferiti nella casa circondariale del capoluogo friulano per motivi di sicurezza

Alta tensione nel carcere di Udine, dove nella mattinata di martedì 24 giugno due detenuti hanno aggredito quattro agenti della polizia penitenziaria.
A denunciare «l’ennesimo episodio» è Massimo Russo, delegato nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). «Verso le 8 del mattino – spiega una nota diffusa sull’accaduto –, nella Casa Circondariale di Udine si è registrata una nuova e gravissima aggressione ai danni di quattro poliziotti penitenziari. Episodio che arriva dopo le recenti aggressioni del 19 e 21 maggio scorso».
Stando alla ricostruzione, «un detenuto marocchino di 22 anni, trasferito a Udine dal carcere di Treviso per motivi di sicurezza, essendosi reso protagonista di numerose aggressioni al personale penitenziario, unitamente a un altro detenuto, triestino, a sua volta trasferito a Udine dal capoluogo regionale poiché coinvolto nella rivolta della scorsa estate al Coroneo, hanno aggredito quattro poliziotti penitenziari che sono dovuti ricorrere alle cure del locale Prono soccorso: prognosi di giorni 21 per due operatori che hanno riportato fratture e rispettivamente 6 e 5 giorni per gli altri due colleghi».
Il sindacalista denuncia che «gli eroi silenziosi della Penitenziaria continuano a pagare le conseguenze dell'attuale sistema carcerario mentre la politica e le associazioni del pianeta carceri si preoccupano unicamente di ventilatori, frigoriferi e celle dell'affettività e non di chi soffre realmente nelle carceri italiane che, numeri alla mano e viste le molteplici aggressioni, sono i poliziotti penitenziari».
Sull’accaduto è intervenuto anche Giovanni Altomare, segretario regionale del Sappe che, in linea con la posizione del sindacato nazionale, sollecita più tecnologia e più investimenti per il sistema carcere: «La situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose. I decreti svuota-carceri, che più di qualcuno continua ad invocare ad ogni piè sospinto, da soli non servono: serve una riforma strutturale dell’esecuzione, servono strumenti concreti ed efficaci per potersi difendere dai detenuti violenti e la dotazione di body-cam».
La Polizia Penitenziaria «non ce la fa più a gestire questa situazione e nei prossimi giorni valuterà se indire lo stato di agitazione. L’effetto che produce la presenza di soggetti psichiatrici è causa di una serie di eventi critici che inficiano la sicurezza dell’istituto oltre all’incolumità del poliziotto penitenziario. Queste sono anche le conseguenze di una politica miope ed improvvisata, che ha chiuso gli ospedali psichiatrici giudiziari senza trovare una valida soluzione su dove mettere chi li affollava. Gli Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari) devono riaprire, meglio strutturati e meglio organizzati, ma devono di nuovo essere operativi per contenere questa fascia particolare di detenuti».
Il segretario generale del Sappe, Donato Capece, prendendo spunto dall’episodio di Udine, giudica la condotta dei detenuti «irresponsabile e gravissima. Sono quotidiane le nostre denunce con le quali evidenziamo che le carceri in Friuli Venezia Giulia (sono ristrette in cella oltre 730 persone a fronte di 490 posti letto regolamentari) sono ad alta tensione».
La popolazione carceraria nazionale attuale «è composta per un 30% di detenuti in attesa di giudizio, per un altro 30% da detenuti extracomunitari e il 20% da tossicodipendenti. Da decenni chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri per fare scontare loro, nelle loro carceri, le pene ma anche la riapertura degli Ospedali psichiatrici giudiziari dove mettere i detenuti con problemi psichiatrici, sempre più numerosi, oggi presenti nel circuito detentivo ordinari».
Infine un appello sulle dotazioni per il personale di polizia penitenziaria, ricordando come servano «strumenti di tutela e garanzia non letali come i flash ball e i bola wrap: il primo è un fucile che spara proiettili di gomma, già in dotazione alla polizia penitenziaria francese, mentre la seconda è un’arma di difesa che spara lacci che bloccano le gambe dei riottosi, anch’essa già in uso ad alcune polizie locali di alcune città italiane. Serve, forte ed evidente, la presenza dello Stato che non può più tollerare questa diffusa impunità».
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