Suicidio assistito, l’Asl nega l’accesso a una 76enne: «Violata la sentenza della Corte»

Una donna veneta affetta da malattia neurodegenerativa si è vista negare dall’ Asl di riferimento l’accesso al suicidio medicalmente assistito. I legali: “Violazione dei diritti”

In foto, Luca Coscioni
In foto, Luca Coscioni

Donatella” – nome di fantasia usato per tutelarne la privacy – è una donna veneta di 76 anni affetta da una malattia neurodegenerativa irreversibile, che da mesi vive in condizioni di grave sofferenza.

Il 6 settembre 2024 ha inoltrato formale richiesta alla propria azienda sanitaria per avviare la procedura prevista dalla sentenza Cappato-Dj Fabo, che permette – in determinate condizioni – l’accesso legale al suicidio assistito in Italia.

La vicenda 

Dopo cinque mesi di attesa e solo in seguito a una diffida inviata dai suoi legali, la ASL ha trasmesso la relazione della commissione medica multidisciplinare.

Il documento attesta che Donatella è capace di autodeterminarsi, è affetta da una patologia irreversibile che le provoca sofferenze intollerabili, ma – secondo la valutazione della ASL – non sarebbe tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale, requisito essenziale secondo la giurisprudenza per l’accesso alla procedura.

Una conclusione che, secondo il collegio legale della donna, guidato dall’avvocata Filomena Gallo, Segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, viola apertamente la sentenza n. 135/2024 della Corte costituzionale. Quest’ultima ha stabilito che anche l’assistenza garantita quotidianamente da familiari o caregiver – come nel caso di Donatella – può essere considerata un trattamento di sostegno vitale, se indispensabile alla sopravvivenza.

Diritti negati

«Donatella dipende completamente da chi la assiste: senza aiuto non può assumere farmaci, bere o nutrirsi. In quelle condizioni, senza supporto, morirebbe tra atroci sofferenze. È assurdo che la ASL, pur riconoscendo tutto questo, neghi l’accesso alla procedura», ha dichiarato l’avvocata Gallo.

A supportare il ricorso, anche una relazione del dottor Mario Riccio, noto anestesista che assistette Piergiorgio Welby e altri pazienti in casi simili. Dopo la presentazione dell’opposizione con diffida, il direttore sanitario della ASL ha chiesto una nuova valutazione, ma al Comitato etico invece che alla Commissione medica, come previsto dalla prassi. L’esito di questa rivalutazione è tuttora in attesa.

La nota dell’Associazione Luca Coscioni

Sulla vicenda si è espresso Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni: «La ASL ha impiegato oltre cinque mesi per rispondere, violando ogni principio di tempestività e aggravando la sofferenza della persona. Serve una legge nazionale che garantisca tempi certi e procedure chiare, perché nessuno debba attendere mesi per vedere rispettati i propri diritti».

Cappato ha inoltre sollecitato la Regione Veneto a riaprire la discussione sulla proposta di legge regionale “Liberi Subito”, già adottata dalla Toscana, che mira a regolamentare in modo uniforme l’accesso al suicidio medicalmente assistito su tutto il territorio.

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