Il fratello del primo donatore di cuore: «La morte di Francesco ci cambiò la vita, ma rivoluzionò la medicina italiana»
Enrico Busnello, fratello di Francesco, diciottenne trevigiano morto in un incidente stradale, racconta la notte tra il 13 e il 14 novembre 1985: la tragedia aprì la strada al primo trapianto di cuore eseguito a Padova dal professor Gallucci

«Quella chiamata me la ricordo ancora. Come fosse adesso: squillò il telefonò che era tardi, tardissimo, e i medici dissero a mio padre che era appena stato approvato il decreto del ministro Degan, che per Francesco non c’era più nulla da fare, era stato dichiarato clinicamente morto, lo tenevano in vita solamente le macchine, e c’era la possibilità che un uomo ricevesse il cuore sano e giovane di Francesco. Ma serviva l’assenso, e i medici chiedevano a papà di darlo in breve tempo, che si sarebbe dato il via subito al trapianto. Mio padre prese tempo, quello che sarebbe servito per parlarne con mamma. E dissero sì».
Quella notte fra il 13 ed il 14 novembre 1985, quel sì avrebbe cambiato per sempre la storia della medicina italiana, la cultura della donazione. L’equipe del professor Gallucci avrebbe trapiantato il cuore di Francesco a Ilario Lazzari, 39 anni, di Vigonovo, che lavorava allora in un’azienda di divani. Sarebbe vissuto altri 6 anni, stroncato poi dall’Aids. E Gallucci sarebbe morto l’anno prima nel 1991, in un incidente stradale tra i cantieri della A4.
Enrico Busnello oggi ha 57 anni. Ne aveva 16, quella sera. «Il vuoto resta sempre, ancora oggi dopo tanti anni», dice dalla casa di vie Bezzecca dov’è cresciuto, a Santa Bona. Il papà Giovanni, dirigente della Cisl, una vita nel sindacato, attivissimo nel volontario, è scomparso un anno fa. Mamma Marina ha 85 anni. «Resta ancora tutto il dolore, io penso a lei, mamma che ha sepolto un figlio giovanissimo. Papà diceva sempre: “Francesco era un riferimento assoluto in casa, i giorni della ricorrenza sono ancora più duri degli altri. E il dolore non passa mai, nemmeno dopo tanti anni”».
E c’è ancora la cameretta di Francesco, divisa proprio con Enrico: «Ci sono le foto e ricordi di Francesco, adesso qualche volta ci dormono le nipotine, che sanno la storia dello zio, e di cosa ha voluto dire la scelta dei nonni».
I Busnello hanno sempre vissuto con compostezza e dignità quella tragedia, ben lontani dai riflettori: «Il vuoto pesa, sempre, ogni giorno, non solo nell’anniversario di quella notte», continua Enrico, «Come famiglia abbiamo sempre voluto restare discreti, senza mai enfatizzare quella chi è successo, abbiamo voluto tenere tutto dentro tra di noi, vivere il dolore ed elaborare un lutto al nostro interno, dandoci forza a vicenda.
Papà ha spesso tenuto incontri con l’Aido, era attivissimo nel mondo sociosanitario e ospedaliero (è stato presidente dell’Anteas), ha sempre voluto dare testimonianza della scelta fatta con la mamma, con cui ha incarnato i suoi valori di cattolico impegnato nel sociale a favore della collettività».
Ma vale sapere che il gesto dei genitori ha cambiato la storia della medicina italiana. «Conforta, ma non può cancellare né il dolore né il vuoto, ancora adesso a tanti anni di distanza. C’è tutta la consapevolezza che quello che hanno fatto i miei genitori quella notte ha aperto una strada per tante famiglie, che hanno affrontato a loro volta un percorso che è sempre a due facce. Da un lato il terribile momento della perdita, dall’altro la vita donata grazie al gesto d’amore».
Anche l’allora fidanzata di Francesco, Barbara, ogni tanto fa visita a mamma Marina. Quel dramma tiene ancora legami, rapporti, condivisione. Francesco era studente all'Itis Fermi di Treviso (VB meccanici), rappresentante nel consiglio di istituto, impegnatissimo, e sempre in prima fila, fosse il Coordinamento studentesco, o il catechismo, perché insegnava ai bambini della parrocchia di Santa Bona, o lo scoutismo, nella Fse che a Santa Bona ha una delle sua roccaforti. Era anche una promessa della pallamano italiana; giocava in A2, era stato chiamato in nazionale.
La sera dell’8 novembre, in sella al suo Ciao, era stato centrato da un’auto, a un incrocio mal segnalato. A lui sono oggi intitolati una via a Maserada, il giardino botanico di San Paolo e un reparto del Ca’ Foncello. Il capogruppo di Azione, Nicolò Rocco, ha proposto di intitolargli la nuova cittadella della salute.
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