Laura, animatrice in hotel per la stagione: «Lavoravo come una bestia 12 ore per 2 euro l’ora»

L’esperienza di Laura Veronese, 22enne padovana laureata in Psicologia, in una struttura sulla Maiella in Abruzzo: «Nessun rimborso spese per il viaggio, dovevo fare solo due ore e mezza e invece mi hanno presa in giro. In più non volevano pagarmi gli straordinari»

Rocco Currado
Laura Veronese, 22 anni
Laura Veronese, 22 anni

La delusione, lo sconforto e poi - ancora peggio, se possibile - la consapevolezza che «il lavoro per i giovani va così».

Laura Veronese, padovana di 22 anni, laureata, è una delle tante ragazze che per racimolare qualche soldo ha deciso di impegnarsi in un lavoro stagionale, salvo poi ritrovarsi in situazioni che definire spiacevoli è poco.

Andiamo con ordine. Siamo a dicembre 2024, a Padova appunto. «Avevo bisogno di un'entrata e, dopo aver fatto la cameriera per quattro anni, volevo cambiare» racconta Veronese «essendo laureata in Psicologia volevo provare a lavorare con i bambini».

Così trova un'agenzia che offre un lavoro come animatrice in hotel, subito si candida e presto inizia la (dis)avventura. «Ho fatto uno stage di tre giorni a Rimini e una settimana dopo mi hanno mandato sulla Maiella in Abruzzo» prosegue. E fino a qui, tutto bene.

«Avevo un contratto stagionale, con una paga di 300 euro per due settimane, lavorando 2 ore e mezza al giorno» aggiunge la ragazza «solo che da subito mi sono ritrovata a fare circa 12 ore, lavoravo come una bestia».


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A quel punto si accende una lampadina e la giovane si rivolge al suo responsabile: «Gli ho chiesto come funzionasse, se il compenso fosse riproporzionato sulle ore che realmente lavoravo». Risposta? No. «Ho parlato con gli altri ragazzi, mi hanno detto che è così, che all'inizio bisogna fare dei sacrifici» spiega Veronese «ma quelli non erano sacrifici, significava prendere 2 euro all'ora».

Senza considerare le condizioni: «Dormivo in una camera minuscola con due ragazzi, stavamo sopra alla cucina e l'aria era irrespirabile» riferisce «condizioni igieniche neanche a parlarne».

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Quindi ad appena una settimana, decide di dimettersi: «Mi hanno detto di lasciare la struttura immediatamente, mi sono sentita rivolgere frasi del tipo "ti meritavi di stare in mezzo alla strada" e "non ti voglio più vedere"».

Ma non finisce qui. «L'ultimo giorno non mi hanno dato il pasto, ho dovuto lasciare là i miei vestiti e non mi hanno nemmeno pagato il viaggio di ritorno, come invece doveva essere» dice Veronese «mi hanno detto di arrangiarmi, di trovare un modo per scendere. C'era la neve e faceva freddo, per fortuna avevo fatto amicizia con alcuni turisti che mi hanno dato un passaggio».

Tornata a casa, comincia uno scambio di messaggi con l'agenzia per farsi riconoscere almeno il tempo lavorato. «Mi hanno mandato una busta paga di 77 euro per una settimana di lavoro a 12 ore al giorno e hanno pure considerato la domenica di riposo, mentre avevo lavorato. Gliel’ho detto, non mi hanno mai risposto». E chiude: «Ho provato a farmi aiutare anche dai sindacati, mi hanno detto che dovevo andare da quelli abruzzesi e ho perso le speranze, ho lasciato andare».

A distanza di mesi, però, nel raccontare la vicenda il rammarico continua a farsi sentire. «Ci sono rimasta molto male» ammette la giovane. «Avevo già lavorato per anni nella ristorazione, senza mai avere un contratto. Ho sempre avuto una vita lavorativa poco dignitosa, esperienze molto negative e questa è una in più. Non sono rimasta sconvolta, perché ormai so come va il lavoro per i giovani».

A dir la verità ora per Laura Veronese le cose sono un po' cambiate: «Ho il primo contratto, non avevo mai visto la malattia pagata, le ferie». Parafrasando il titolo di un fortunatissimo film, verrebbe da dire: c'è ancora domani. Forse.

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