Giro d’Italia 2025: l’esperienza di Roglic contro la freschezza di Ayuso, via alla sfida generazionale
Parte da Durazzo la Corsa Rosa numero 108 tra vecchie glorie e nuovi fenomeni: senza Pogacar e Vingegaard, spazio a Roglic, Ayuso, Bernal, Tiberi e Van Aert per un’edizione tutta da scoprire

Juan Ayuso ha 22 anni, ha un talento cristallino, ha vinto la Tirreno Adriatico, va forte in salita e a cronometro. È il dopo Contador in Spagna. Ma, soprattutto, un anno fa al Tour aiutò Pogacar, malvolentieri. Insomma: ha classe e carattere il debuttante al Giro.
Primoz Roglic, 36 anni a novembre, il Giro l’ha già perso (nel 2019 quando bisticciò con Nibali e la cosa favorì Carapaz), l’ha vinto due anni fa sul Lussari, ha uno squadrone nella RedBull Bora arrivato in Italia (no, in Albania dove la corsa rosa partirà oggi e vi starà per tre giorni) con anche Daniel Martinez, secondo un anno fa, e Jai Hindley, primo nel 2022. Perché? Semplice, con l’extraterrestre al Tour (dove ci saranno anche Vingegaard ed Evenepoel) e alla Vuelta, meglio vincere una corsa a tappe perchè sennò il rischio digiuno è forte.
Eccovi allora il piatto forte dell’edizione 108 della corsa rosa che oggi partirà da Durazzo. Il vecchio, Roglic, che se vincesse sarebbe il più anziano a farlo al Giro, e il giovane. Contro, un parterre de ...rosa.
Egan Bernal, che prova a rinascere dopo la terribile caduta di 3 anni fa, Richard Carapaz che sogna di rivincere, Mikel Landa, altro espertone che prova a vincere dopo il terzo posto di 10 anni fa, speriamo Antonio Tiberi, la giovane speranza da podio dell’Italia più che Giulio Ciccone.
Che Giro sarà? Dalla presentazione in piazza di mercoledì sera a Tirana non pare che il ciclismo abbia “spaccato” in Albania, magari sulle strade nei prossimi tre giorni ci sarà una fiumana di gente, ma la sensazione è che rincorrere facili quattrini all’estero non sempre paghi.
La corsa? Intrigante. C’è già una cronometro domani – e Roglic e Ayuso vanno forte contro il tempo – poi ci saranno i trabocchetti appenninici, le strade bianche a Siena, un’altra crono a Pisa e le montagne. Dolomiti aggirate, anche causa Cortina 2026, ma Grappa, Brentonico e Bormio, anche se col Mortirolo addolcito, terreno fertile per la battaglia. Poi la Val d’Aosta e il Colle delle Finestre, che solo per quei 6 km di sterrato verso quota 2000 vale il Giro d’Italia.
E poi, attenzione attenzione. È vero, manca il re Pogacar, che un anno fa dominò ma anche annoiò forse con quella superiorità imbarazzante (4 tappe vinte, Giro ipotecato subito a Oropa e 10 minuti di vantaggio sul secondo), manca il viceré Vingegaard, non c’è nemmeno Evenepoel, come il numero due del ciclismo mondiale, secondo la classifica Uci, Mathieu Van der Poel, tutti già in modalità Tour de France, come le bandiere dell’Italbici Filippo Ganna e Jonathan Milan, ma ci saranno almeno tre assi arrivati qui non per vacanza.
Prendiamo Tom Pidcock, capitano della Q35.5. L’olimpionico della Mtb ha già vinto il Giro under 23. E se provasse a fare classifica? Uno che ha vinto sull’Alpe d’Huez preparandosi il terreno con una fantastica discesa dal Galibier al Tour 2022 ha motore e testa per farlo.
Oppure Mads Pedersen, campione vero che proverà a far restare in casa Lidl Trek la maglia ciclamino vinta negli ultimi due anni da Milan.
E poi Wout Van Aert. Signori, arriverà 90 volte su 100 secondo, ma il belga ha classe cristallina. È uno dei 5-6 corridori più forti al mondo e, vedrete, darà spettacolo sin dalla tappa di oggi, che sembra cucita apposta per fargli indossare la prima maglia rosa.
Un anno fa il Giro non ebbe storia, due anni fa si concluse con un duello finale alla penultima tappa (Lussari), tre pure (Marmolada).
Tira aria di grandi battaglie. Se manca gatto-Pogacar i topi ballano.
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