«Volevo e ho perso un calcio normale»

PORDENONE. «Il calcio è sempre lo stesso, a essere cambiata è l'esasperazione mediatica che crea personaggi di spettacolo mettendo in secondo piano lo sport». Dino Zoff, l'uomo e il calciatore, spiega al pubblico di Pordenonelegge che il calcio «è una cosa seria», e che i campioni – quelli veri come lui – devono sentirsi in dovere di onorare la maglia che portano. Perché, come suggerisce il titolo della sua autobiografia, “Dura solo un attimo, la gloria” (Mondadori).
L'ex portiere campione del mondo racconta i risvolti dolci-amari del successo personale, dalle gioie per la vittoria ai Mondiali dell'82 sino alle dimissioni da ct della Nazionale italiana dopo la finale (persa contro la Francia) agli Europei del 2000. Dimissioni che ne hanno decretato in qualche modo l'uscita dal mondo del calcio “che conta”.
«Di lí in poi – rimarca il campione – il mondo del calcio ha fatto poco per accogliermi, ma devo ammettere che io stesso ho fatto poco per rientrarci». Un congedo per nulla facile, scaturito da una scelta personale di fronte alle affermazioni di Berlusconi che lo definí indegno del ruolo che ricopriva.
«Non mi sono mai pentito della decisione – rivela Zoff –. Non poteva andare diversamente, anche se all'epoca il mio fu un gesto rivoluzionario poiché avremmo potuto continuare a offenderci e il tutto sarebbe finito a tarallucci e vino. Berlusconi aveva colpito l'uomo, non lo sportivo».
Intervistato da Francesco Piccolo, vincitore dell'edizione 2014 del Premio Strega, Zoff parla a ruota libera, quasi a volersi scrollare di dosso quell'immagine di uomo silenzioso che gli è stata affibbiata. «In certe situazioni – spiega – non potendo dire la verità mi sono ritrovato a dire banalità. Stanco di sentirmele ripetere ho scelto la via del silenzio».
Conferma, invece, quell'immagine del campione rigoroso e costante nella disciplina, «operaio specializzato» del calcio piú che fuoriclasse. Timido, riservato e pudíco tranne quando, dopo la vittoria della Coppa del Mondo, diede un bacio sulla guancia a mister Enzo Bearzot.
«Ci vergognammo di quel gesto – sorride –, tra due “orsi” friulani come noi. Ma la gioia era talmente incontenibile che durante la consegna della medaglia ho dovuto tenere a bada l'impulso di baciare la Regina di Spagna». In un passaggio della sua autobiografia, Zoff si definisce un perdente.
«Avevo la presunzione di poter riportare il calcio a una dimensione normale, ho il rammarico di non esserci riuscito». Non può mancare un accenno al calcio di oggi, dalla nomina di Carlo Tavecchio alla guida della Figc – «non ha iniziato nel migliore dei modi, ma la sua elezione è stata fatta secondo i canoni» – alla Nazionale di Antonio Conte, rispetto alla quale dà un giudizio positivo.
Infine, Zoff si sofferma sulla funzione educativa dello sport per i giovani. «Lealtà e rispetto per l'avversario sono fondamentali. Ai miei tempi il comportamento in campo era diverso, adesso la sceneggiata dopo il gol è un momento di spettacolo, per me è un gesto antisportivo».
Parlando di giovani promesse, riserva parole d'elogio per il talento dell'Udinese Simone Scuffet: «Un ragazzo come lui, che a 18 anni esordisce in serie A, ha la carriera assicurata. Basta che non perda di vista i valori dello sport e venga aiutato dalla sua società».
Prima di congedarsi, con l'umiltà che contraddistingue i grandi campioni, Zoff autografa le copertine dei suoi libri, nonché una copia della Gazzetta dello Sport che celebra la vittoria dei mondiali '82 portatagli da un suo tifoso.
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