Vecchioni: non è il tempo dei cantautori

Il popolare autore milanese al Perla. «Populismi insopportabili, non parlo piú di politica»
Di Timothy Dissegna

NUOVA GORIZIA. È un nome che piace a ben più di una generazione: Roberto Vecchioni, nonostante i suoi 72 anni, non si ferma con la suo ultima tournée di concerti.

Poche sere fa si è esibito, applauditissimo, al Casinò Perla di Nova Gorica, dopo diverse tappe in regione.

Si associano spesso canzoni a diversi momenti storici: la Storia ha veramente una colonna sonora?

Ogni fase ce l’ha, ma c’è benissimo qualche momento alto e qualcuno basso. Ci sono periodi fondamentali e altri, che sono stati “di popolo”, invece dimenticati. In tutti i libri di storia ci sono poche “storie di popolo”. Io sono strutturalista, quindi tutto va di pari passo e oggi si va avanti di anno in anno, verso una sintesi dove la parola si perde.

Anche i recenti populismi hanno una loro canzone?

Sono insopportabili, una delle ragioni per cui non parlo più di politica: si sta confondendo la verità democratica con il populismo. Non è che tutti debbano parlare, lo fanno quelli che hanno qualcosa da dire; per questo non amo internet. Nemmeno l’arte è democratica, non è la maggioranza a fare la bellezza.

Questa sinteticità del linguaggio parte anche dalla scuola?

I ragazzi arrivano a scuola che hanno già la testa piena di alte cose, altri modi di esprimersi o ricevere le notizie. In classe, dopo mezz’ora un ragazzo si annoia, non c’è più quella capacità di attenzione e tensione che c’era una volta. Cambia l’uomo, il mondo, bisogna adattarsi: non posso insegnare oggi come lo facevo negli anni ’70/’80.

Su internet si dice sempre più spesso che la musica d’autore è morta. Si è riadattata o la vede proprio “estinta”? Anche la musica d’autore ha periodi, i grandi nomi non ci sono più. O meglio, ci sono ma sono vecchi (sorride, ndr) e non sono ricambiabili. Ci sono alte forme, forse più musicali come il rap, ma quel grande periodo pioneristico non si ripeterà.

Lei si è espresso sul caso Regeni. Pensa che tutto il mondo culturale italiano dovrebbe schierarsi per chiedere la verità?

Io mi schiero, però non è obbligatorio. Diceva Vittorini a Togliatti che gli scrittori non sono pifferai della rivoluzione ed è vero: un artista è il più libero di tutti, da qualsiasi tema, perché pensa in modo diverso, a un’umanità molto più grande. Non a quella del momento.

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