Un sogno per tre: libertà a Tel Aviv

GIAN PAOLO POLESINI. Il cinema affonda laddove la politica è diplomatica e la storia impietosa. Tre donne palestinesi a Tel Aviv è la sintesi più sintesi di In Between, insegna originale di Libere Disobbedienti Innamorate, pellicola analgesica per i dolori da patriarcato violento.
La ribellione possibile è la direzione presa in velocità da una regista di nuova generazione, Maysaloun Hamoud, e in men che non si dica la fatwa l’ha già colpita in fronte.
La Tucker Film, con la lungimiranza che si ritrova in casa, mette volentieri le mani su catture filmiche ben lontane dal branco, preferendo le originalità alla massa.
La stessa Hamoud, accompagnata dall’attrice Mouna Hawa, sarà proprio oggi in Friuli per spiegare al pubblico di Cinemazero (prima della proiezione delle 21) e del Visionario (al termine della pellicola che inizierà alle 21) in che tunnel s’è consapevolmente cacciata per amor della libertà. In sala, poi, l’opera uscirà il 6 aprile, dopo aver raccolto ovazioni ai festival di Toronto, San Sebastian, Palm Springs, Göteborg e Santa Barbara.
Sottomissioni conosciute, però basta una finzione per accrescere il disgusto, semmai noi europei ci fossimo scordati in che gabbio viva la femmina araba. Hamoud non usa filtri, manda le sue tre attrici a pigliarsi una scena autentica, movimenti fedeli al reale.
A Tel Aviv, terra culturalmente vivace, tre amiche lottano per l’indipendenza. Si gira nel quartiere yemenita di Manshiyya e qualcosa passa, con rabbia, dal freddo schermo al caldo cuore.
Fumano, sniffano, vivono, cercano di bypassare i codici con l’irruenza della gioventù, perché qualcuno deve pur cominciare a sparare. Loro tre, almeno, il colpo in canna ce l’hanno, magari rese curve dalla violenza psicologica e carnale, ma la postura è sempre dritta. L’avvocato, la dj lesbica e la studentessa modello - Layla Salma e Nour - si muovono senza voltarsi indietro, ogni azione è determinata alla miglioria esistenziale, al diavolo il fidanzato violentatore, al diavolo l’uomo conservatore, al diavolo i genitori sconvolti dall’omosessualità della figlia, al diavolo l’omologazione in rosa. Ci si avvicina al docu-film, d’irreale e di sognante c’è ben poco, lasciando viva la speranza. Perché accopparla?
Il loro isolamento è deciso e preferito alle scomode compagnie di maschi barbuti con gli occhi azzurri, che comunque impediranno loro di respirare fino in fondo l’aria pura dell’indipendenza.
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