Strassoldo ai friulani: la nostra marilenghe è risorsa economica

UDINE. Diceva l’ex presidente della Regione Riccardo Illy che il doppio registro linguistico locale/nazionale rendeva la mente più agile, duttile, reattiva. E Marzio Strassoldo, già rettore accademico e presidente della Provincia di Udine, si spinge più in là.
Nel suo “Economia delle minoranze linguistiche – La tutela della diversità come valore”, ragiona sull’“applicazione delle lingue minoritarie da parte degli agenti economici”, e considera la “marilenghe” teorizzandone un valore in conquibus.
Il libro, edito dalla Societât Sientifiche Tecnologijche furlane, sarà presentato nel salone della Provincia lunedì 17 ottobre, alle 17.30 a cura di Francesco Marangon, docente di Economia all’Università di Udine e di William Cisilino, direttore dell’Arlef.
Fuori dallo stile e dalle circonlocuzioni accademiche del testo, il libro sembra affermare che l’essere minoranza linguistica costituisce un plus economico. È cosí?
Certo, anche se la situazione è variegata. Ci sono minoranze sottovalutate, in posizione di forte disagio, e altre che hanno saputo usare la loro peculiarità per ricavarne appunto un plus. Volendo restare in Italia, è il caso dei sudtirolesi e dei valdostani. Gli sloveni di Trieste e del Goriziano, per certi versi, sono messi meno bene.
E i friulani?
In una posizione di mezzo, nel senso che scontano ancora il fatto di sentirsi “sottans”. È un problema antico, insito antropologicamente nei friulani: ciò che proviene da fuori è sempre meglio.
In questo momento storico, e soprattutto economico, si può dire a un ragazzo friulano: studia la marilenghe, sforzati di praticarla, perché ti offrirà maggiori opportunità nella vita?
Occorre dirgli che dev’essere trilingue: friulano, inglese e italiano. O altrimenti bilingue, friulano e inglese, perché con l’italiano si arriva sino a Malta, e oltre non si va. È peraltro da tenere presente che chi usa due lingue in giovanissima età poi ha facilità ad apprenderne altre. Studi scientifici hanno accertato che l’area cerebrale deputata al linguaggio, se attivata presto sul doppio codice, poi funziona meglio anche per altri idiomi.
Facciamo un esempio di ricaduta pratica della lingua minoritaria.
Le valli ladine. Non quelle del Veneto, che hanno subito un processo di debilitazione analogo a quello patito dal Friuli. Ma quelle inserite nel mondo Sudtirolese, come Badia o Gardena, che hanno affermato la loro identità ricavandone benefici.
Però lí c’è il favore di una natura spettacolare, le Dolomiti, e i generosissimi contributi di mamma Provincia...
Che però vengono erogati proprio in virtú dell’essere minoranza. I ladini, lí, sono stati bravi a fare corpo, pur nella diversità, con i parlanti il tedesco.
Sorge un dubbio: se passa l’idea che essere minoranza è un plus, e non l’inverso, Roma potrebbe dire: beh, questi sono già avvantaggiati dal fatto di parlare friulano, che bisogno c’è di specialità?
La lingua ha comunque bisogno di una base economica. Altrimenti il sistema collassa e i parlanti si disperdono. Pensiamo ai tanti friulani, soprattutto carnici, che se ne sono andati dalle loro valli. Poi, nel giro di due generazioni, la marilenghe si perde. I ladini svizzeri stanno bene, hanno avuto il riconoscimento di lingua nazionale e anche ufficiale amministrativa, dispongono di giornali e televisioni, ma hanno sofferto questa condizione e si sono ridotti a cinquantamila. Un sostegno è necessario.
Oggi lo comunicazione, specie politica, si fa per slogan che sintetizzino un’idea. Può andare “Favelâ furlan al puarte bêz”?
Mi pare un buon motto. Lo segnalerò all’Arlef.
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