Stefano Montello racconta il nostro tempo delle erbacce

Angelo Floramo

Il tempo delle erbacce di Stefano Montello verrà presentato venerdì 25 alle 18. 30 nel parco di Villa Romano a Case di Manzano. Dialogherà con l’autore Angelo Floramo. La serata vedrà anche la partecipazione musicale di Cristina Mauro. L’ingresso è libero con prenotazione obbligatoria: sms o whatsapp al numero 338 1985614.



L’erbaccia è infestante. Te la ritrovi dove non vorresti. Viene a corrompere la purezza del giardino, soffoca il profumo dell’orto. Ostinatamente recidiva, l’erbaccia dà nell’occhio. Si fa notare. È smargiassa di suo, incontenibile, politicamente scorretta. Ha un nome solo, collettivo, capace di racchiudere tutto il disprezzo del diligente giardiniere, che la considera una iattura, o addirittura una dannazione. Ma in realtà è una moltitudine, proprio come quell’ossesso che risponde a San Paolo: “chiamami legione! ”, nel noto passo evangelico. Vive per questo, da millenni, il destino dannato dei figli di Caino. Si sposta con l’alito dell’Inferno, come l’ebreo errante, o il batavo maledetto. E proprio per questa sua incongruità sbilenca, per il fatto di suscitare scandalo e fastidio, può suscitare fascino e stupore, specialmente in chi non nasconde la sua simpatia per tutto ciò che è irregolare, anarchico e bastian contrario.

Sarà la nostra miope capacità di giudizio, che tende a fare “di ogni erba un fascio”, ma è sorprendente capire che dietro a quell’epiteto generalizzante si celano nomi meravigliosi, essenze alchemiche, policromie capaci di suscitare meraviglie, inimmaginabili varietà di foglie e di fogge. E dunque anche di storie. Come ad esempio l’Amaranto, i cui semi si impigliarono nelle brache dell’ammiraglio dell’Oceano Mare, Cristoforo Colombo, sbarcando clandestinamente insieme a lui a Lisbona, e poi esplodendo in tutta Europa. O l’Assenzio, capace di evocare i sogni inquieti della Bohème dei poeti simbolisti, le loro psichedeliche sinestesie: la fatina verde che titilla l’anima e la confonde con l’essenza stessa della vita. O ancora il Cencio Molle, l’Abutilon, che seguì le rotte fantastiche degli Argonauti, dagli estremi confini dell’Universo, quel Caucaso feroce e selvatico, per aggrapparsi tra le pietre dei templi greci, dimostrando ai filosofi una volta di più che il Dionisiaco è molto più interessante dell’Apollineo!

E potrei andare avanti, sfogliando carta dopo carta questo sapido libercolo che mi trovo per mano: Il tempo delle erbacce. Piccolo trattato di filosofia agreste edito da Forum nei Quaderni di (S)confini e firmato da Stefano Montello, contadino, poeta, musico, saggista e millanta altre cose. Si tratta di un piccolo (solo per formato) capolavoro. Ho assistito alla sua genesi durante uno spettacolo che ci inventammo insieme. Si chiamava “Fatoprofugus” e debuttò nel febbraio del 2020. Ebbe vita breve! Ma come scrive Stefano: “Di fronte a una pandemia psichiatrica senza precedenti, alla chimica che avvelena il mondo, agli armamenti più sofisticati che lo controllano che cosa possiamo rispondere? Che ci salveranno le erbacce”. Perché “si appiccicano ai vestiti, si infilano nelle tasche dei nostri cappotti, fanno un rumore di ossa secche di topo se le calpesti. Attraversano il mare, si travasano da barcone a barcone, da aereo ad aereo, di vagone in vagone”. E ormai è chiaro a tutti il senso profondo e meraviglioso dell’allegoria. —

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto